Un rapporto di Boston Consulting Group rivede al rialzo le stime sui costi della transizione verde per settori come cemento, acciaio, fonderie, chimica, carta, ceramica. Ma restano investimenti convenienti: non agire costerebbe il 25% in più a causa dell’aumento previsto dei prezzi della CO2 al 2030
I settori hard-to-abate del Belpaese generano il 64% delle emissioni dirette nazionali
(Rinnovabili.it) – Per decarbonizzare l’industria energivora italiana servono 2,8 miliardi di euro l’anno fino al 2030. In tutto quasi 20 miliardi. Ma non agire ci costerebbe il 25% in più: 3,5 miliardi ogni anno. I conti in tasca ai settori hard-to-abate del Belpaese li fa uno studio di Boston Consulting Group pubblicato di recente, che aggiorna i dati del rapporto Industrial Decarbonization Pact del 2022.
Quanto inquina l’industria energivora italiana?
Abbattere le emissioni dei settori industriali ad alta intensità di carbonio è una priorità assoluta per centrare gli obiettivi del decennio. L’impatto complessivo dei settori hard-to-abate, ovvero cemento, acciaio, carta, fonderie, vetro, ceramica, chimica, è quello che pesa di più sul bilancio emissivo dello stivale.
Queste industrie energivore, infatti, generano circa il 64% delle emissioni dirette totali, cioè quelle classificate Scope 1. E il 18% di quelle Scope 2, ovvero le emissioni indirette generate dall’attività produttiva, principalmente attraverso il consumo di elettricità.
I costi della decarbonizzazione
Le nuove stime di BCG sono decisamente più alte di quelle proposte solo un anno fa. La transizione verde di questi settori era fissata a 5 miliardi, adesso lievita di 4 volte. Ma resta una via obbligata da percorrere. Non solo per ragioni climatiche e ambientali, ma anche per mera convenienza economica. L’azienda di consulting stima che il prezzo della CO2 da qui al 2030 possa situarsi in una forchetta tra i 90 e i 130 euro per tonnellata. Con questi prezzi, il costo della decarbonizzazione potrebbe salire fino ai 3,5 miliardi l’anno già ricordati.
Perché una revisione delle stime così profonda? “Mentre le principali leve per ridurre le emissioni sono rimaste invariate, da un lato la recente spinta inflativa ha portato a un aumento del costo degli investimenti necessari, dall’altro, si sta verificando una parziale riduzione del gap tra i costi operativi degli impianti tradizionali rispetto ai nuovi assetti produttivi innovativi in seguito all’aumento dei prezzi dell’energia”, spiega Marco Moretti, managing director e partner di BCG.
Per raggiungere i livelli di decarbonizzazione necessari dell’industria energivora italiana, sottolinea BCG, il motore principale resta l’innovazione. Ferrante Benvenuti, partner di BCG, sottolinea che “le principali leve sono l’elettrificazione dei processi, finalizzata alla riduzione del consumo di combustibili fossili, l’utilizzo di green fuel come, ad esempio, il biogas, i nuovi progetti di cattura, utilizzo e stoccaggio della CO2 (Ccus). Ma anche la digitalizzazione dei processi, con un particolare focus sull’efficientamento energetico dei processi produttivi delle imprese energivore e l’economia circolare, che abiliterà un cambio di passo verso l’impiego di nuovi materiali e lo sviluppo di nuovi modelli di business”.