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Arriva il bazooka verde. Né di unità, né Ursula, il prossimo sarà un governo Greta

Il presidente del Consiglio in pectore Mario Draghi costruisce una maggioranza larga e ‘sostenibile’, la stessa che potrebbe votare il futuro capo dello Stato. Promette il ministero della Transizione ecologica, nipote post-moderno del ‘mai fatto’ ministero dello Sviluppo sostenibile. Dentro un mix di ambiente e economia, e tanta voglia di operatività. La proposta, lanciata per prima da Rossella Muroni, è stata confezionata dal M5s come una conquista ottenuta. Ma i pentastellati un ministero così già lo avevano, e non se ne sono accorti

governo Draghi
Credits: EU2017EE Estonian Presidency, CC BY 2.0, Link

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – Arriva ed è pronto a sparare, il bazooka di Mario Draghi. Questa volta però il proiettile è carico di verde. Le consultazioni si sono concluse con la promessa di un ministero della Transizione ecologica, la costruzione di una maggioranza larga e ‘sostenibile’, sotto tutti i punti di vista.

Una maggioranza che dovrà sostenere un governo di alto profilo, come chiesto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella; un governo che potrà anche essere di salvezza o di unità nazionale, con una maggioranza ‘Ursula’ a sostenerlo, ma che – guardando al tema dominante, l’ecologia (n’est pas possible) – si potrà definire un governo ‘Greta’, come la giovane attivista ecologista svedese Thunberg (l’ispiratrice degli scioperi globali del venerdì, che ha portato in piazza milioni di giovani e che ha messo in riga i leader del G20 sui cambiamenti climatici). 

Quegli stessi numeri messi insieme con la possibile nascente maggioranza saranno utili a votare, e a eleggere, il prossimo capo dello Stato tra un anno. Quasi che un pensiero viene da farlo: se Matteo Renzi non era d’accordo con un ‘ravveduto’ Matteo Salvini (dobbiamo crederci…), è molto probabile che almeno Salvini fosse d’accordo con Renzi; o più semplicemente tutti e due, d’accordo o meno, qualche parola con Silvio Berlusconi l’avessero scambiata.

E’ così che il presidente del Consiglio in pectore, che bene conosce l’aria Atlantica che si respira in Europa, punta sul Green deal; ormai un vero e proprio stemma della commissione Ue targata von der Leyen. Sapendo anche che il 37% degli oltre 200 miliardi di Recovery fund in arrivo dovranno andare dritti dritti in misure ambientali, Draghi non può che fare la mossa giusta.

L’istituzione di un ministero della Transizione ecologica – nipote moderno del ‘mai fatto’ ministero dello Sviluppo sostenibile, che sembra già un ricordo del passato – sarebbe la miglior scelta, in un momento delicato come questo, per il nostro Paese: la creazione di un nuovo prodotto, fatto miscelando un pezzo del ministero dell’Ambiente e un pezzo del ministero dello Sviluppo. Più due elementi fondamentali: ‘tanta voglia’ di operatività reale con risorse disponibili (altrimenti non regge), e il giusto peso per la decarbonizzazione del sistema, con un alleato unico nell’economia circolare.

La proposta, lanciata per prima (aggiungerei molto prima) da Rossella Muroni, di un ministero della Transizione energetica è proprio quello che serve, quello di cui c’è bisogno oggi. E’ quello che la società, nelle sue forme più diverse, chiede da tempo. Un ministero che nel suo concetto di fondo possa offrire un’unica risposta, declinata e adattata in base alle emergenze, alle tante piaghe che feriscono il Pianeta: cambiamenti climatici, ripresa post Covid-19, salvaguardia della biodiversità e dei servizi ecosistemici, lotta alle diseguaglianze, riconversione industriale, migrazioni ambientali, creazioni di nuovi posti di lavoro; e poi soluzioni, come la formazione continua con ‘scivoli’ sociali che accompagnino i lavoratori verso occupazioni green (un format che attualmente potrebbe servire sia per risollevare i tanti cassaintegrati che come conditio sine qua non per lo sblocco dei licenziamenti). E ancora sviluppo di tecnologie, innovazione in continua evoluzione, recupero del divario digitale, servizi pubblici per aiutare tutti a essere semplicemente, più felici, e con lo stesso standard di qualità e di benessere.

Ed è per questo che va fatto, il ministero. Perché non se ne può fare a meno, oggi. Perché ce lo chiede la Terra. Perché è una via d’uscita, l’unica che sulle ceneri della crisi può essere in grado di far fiorire nuova vita, in tutti campi. E non perché è stata confezionata dal M5s come una conquista ottenuta sul campo delle consultazioni, portate avanti dal comico Beppe Grillo di fronte all’ex presidente della Banca centrale europea (e visto che ci siamo, i 5s avranno pensato: chiediamo che ‘lo si annunci pubblicamente, prima di metterlo anche nel quesito da far votare su Rousseau, che se no come la pongo la domanda alla rete’).

Ma (sì, c’è un ‘ma’…), sono proprio i 5s che dovrebbero ‘accannare’: questo ministero non dovrebbe spettare a loro. I pentastellati infatti un dicastero che esprimesse queste ragioni già lo avevano. E in tutte e due i governi di Giuseppe Conte. Eppure non se ne sono accorti. Forse perché ne avevano addirittura due: Luigi Di Maio prima e Stefano Patuanelli poi, entrambi chiodi nel muro del M5s, sono stati alla guida del ministero dello Sviluppo economico; così come Sergio Costa ha occupato, sia nel governo giallo verde che in quello giallo rosso, la casella dell’Ambiente.

Ora però al netto di quel che sarà, dopo aver sciolto la riserva, Draghi avrà di fronte una serie di sfide che a cominciare dalla riscrittura del Recovery plan alle riforme (pubblica amministrazione, fisco, giustizia, semplificazioni, ricerca) fino alla campagna di vaccinazione per distruggere il Covid-19, potrebbero integrarsi e perseguire binari paralleli proprio con quel ministero della Transizione ecologica. In cima a tutte, portare fuori dalla crisi sanitaria, economica e sociale il Paese; contemporaneamente stabilire un nuovo equilibrio.