Il metano è un gas serra molto più volatile della CO2 ma anche con molto più potere climalterante. Un terzo del riscaldamento globale accumulato dipende dal CH4. Ma le stime che abbiamo usato fino a oggi per sapere quante emissioni genera il comparto dell’oil&gas hanno delle debolezze strutturali
Uno studio di Princeton e Colorado State University sulle stime delle emissioni di metano
(Rinnovabili.it) – La Gran Bretagna usa un metodo di calcolo obsoleto per stimare le emissioni di metano dalla sua industria oil&gas. Tanto che il CH4 generato potrebbe essere fino a 5 volte più di quello dichiarato da Londra. E lo stesso, probabilmente, capita in molti altri paesi dal momento che molti calcolano il metano nello stesso identico modo.
Lo afferma uno studio della Princeton School of Public and International Affairs che ha messo a punto un nuovo sistema di stima delle emissioni di metano, più accurato e flessibile di quello in uso oggi. “È fondamentale sapere quando, dove e quanto metano viene emesso da ciascuna fonte per stabilire le priorità di riduzione delle emissioni”, commenta Denise Mauzerall, coautrice della ricerca. “Speriamo che il nostro lavoro faciliti il miglioramento delle stime e delle riduzioni delle emissioni non solo nel Regno Unito, ma anche in altri Paesi che producono metano dall’estrazione di petrolio e gas”, ha aggiunto.
Il problema di contare le emissioni di metano
Quali sono i difetti del metodo di calcolo usato fino a oggi? Il primo grande problema è quello dei fattori di emissione. Per ognuna delle parti del processo produttivo di petrolio e di gas –venting, flaring, combustione, carico offshore di petrolio, trasporto del gas via pipeline, ecc- si dà una stima dell’intensità dell’attività. Che va poi moltiplicata per un coefficiente di emissioni. Cioè delle stime standard delle emissioni di metano associate con ciascuna attività.
Ma si tratta di stime che sono datate, derivano da documenti non pubblici preparati dalla stessa industria oil&gas, oppure usano dei coefficienti standard suggeriti dall’Ipcc. E soprattutto sono stime statiche, che non riflettono affatto la grande complessità del settore. Ad esempio, le difficoltà nello stimare le emissioni dei pozzi offshore.
“Le emissioni dagli impianti offshore sono attualmente largamente incerte e, poiché le fonti sugli impianti emettono solo per un breve periodo di tempo, l’uso di metodi di indagine diretta come il satellite o i droni probabilmente catturerà solo circa il 25% delle emissioni effettive”, spiega Stuart Riddick, autore principale e ricercatore presso la Colorado State University.