I due paesi hanno negoziato per una settimana il nuovo corso nella cooperazione bilaterale sul clima. Convergenze su emissioni di metano, target globali per le rinnovabili e inquinamento da plastica. Ma di fossili l’intesa non parla, segno che la strada verso un phase out totale alla Cop28 è in salita
Tra due settimane inizia il vertice sul clima di Dubai
(Rinnovabili.it) – Arriva il disgelo tra Stati Uniti e Cina sul dossier crisi climatica. Dopo la lunga crisi iniziata nell’era Trump e sfociata nella guerra commerciale, in più tensioni militari e in un lungo stallo del dialogo politico, Washington e Pechino hanno scelto di sedersi al tavolo della Cop28 di Dubai e cooperare. Visto il peso politico e, soprattutto, emissivo dei due paesi, i principali inquinatori mondiali, si tratta di un buon segnale per la diplomazia climatica globale.
Segnale che arriva con il Sunnylands Statement on Enhancing Cooperation to Address the Climate Crisis reso pubblico ieri e partorito dopo una settimana di negoziati in California tra i due responsabili per l’agenda climatica, Xie Zhenhua e John Kerry. Su quali basi riparte la cooperazione climatica tra USA e Cina?
Al centro dell’intesa c’è il riavvio del motore della loro cooperazione, il gruppo di lavoro bilaterale dove si testano possibili accordi e si individuano gli ambiti su cui lavorare fianco a fianco. Lo statement cita espressamente “la transizione energetica, il metano, l’economia circolare e l’efficienza delle risorse, le province/stati e città sostenibili e a basse emissioni di carbonio e la deforestazione” come aree su cui concentrarsi, lasciando l’elenco aperto.
La diplomazia climatica USA-Cina non parla delle fossili
Ma nell’intesa ci sono anche alcuni temi (e ne mancano altri) che potrebbero indirizzare i negoziati della Cop28. “Entrambi i paesi sostengono la Dichiarazione dei leader del G20 per perseguire gli sforzi per triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale entro il 2030”, si legge nel testo. Un indizio che fa sperare che almeno questo nuovo obiettivo globale riesca a essere incluso nella dichiarazione finale di Dubai senza venir troppo diluito.
C’è poi un passaggio sulle emissioni di metano, con il gruppo di lavoro che dovrà riavviare subito “dialogo politico, scambi di soluzioni tecniche e sviluppo di capacità, basandosi sui rispettivi piani d’azione nazionali sul metano per sviluppare le rispettive azioni/obiettivi di riduzione del metano da includere negli NDC del 2035 e sostenere i progressi di ciascun paese nella riduzione/controllo del metano”. Anche questo un punto significativo, soprattutto considerando che la Cina non ha aderito formalmente alla Global Methane Pledge, l’iniziativa guidata da USA e UE per tagliare le emissioni di CH4 a livello globale.
E nel testo dell’accordo bilaterale spunta anche un riferimento alla cooperazione sull’inquinamento da plastica, da leggere nel contesto dei negoziati in corso all’ONU per un accordo globale per metterla al bando. “Gli Stati Uniti e la Cina sono determinati a porre fine all’inquinamento da plastica e lavoreranno insieme e con altri per sviluppare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica, compreso l’ambiente marino”, affermano Pechino e Washington.
La nota dolente è che lo statement non parla mai di fonti fossili. Segno che la distanza sul dossier tra i due big polluters è ancora molto ampia. Recentemente, la Cina ha fatto sapere che l’ipotesi di includere il phase out di tutte le fossili nell’accordo finale della Cop28 di Dubai, come chiede l’UE, è “irrealistica”. Frenando gli entusiasmi di chi sperava almeno nella possibilità di un compromesso non troppo peggiorativo.