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Il degrado ambientale costerà 10mila mld all’economia globale

WWF, Global Trade Analysis Project e Natural Capital Project hanno sviluppato un nuovo modello per calcolare il peso dei danni ambientali su economie, commercio e industria per 140 Paesi. E i risultati sono tutt’altro che confortanti

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Foto di julien Roudier da Pixabay

Pubblicato il primo vasto studio sugli impatti economici globali del degrado ambientale e della perdita di natura

(Rinnovabili.it) – L’umanità sta deteriorando gli habitat naturali, minando ecosistemi essenziali, riducendo gli stock ittici, aumentando la deforestazione e riducendo il numero di impollinatori. Quello che non sta facendo è, invece, prepararsi al conto salato che Madre Natura presenterà: ben 10mila miliardi di dollari. Una cifra astronomica che, continuando su questa strada, sarà spazzata via prima della metà del secolo.

Il calcolo appartiene al nuovo report (testo in inglese) pubblicato in questi giorni dal WWF e dedicato alle conseguenze economiche del degrado ambientale.

 

Nel dettaglio il documento riporta i primi risultati del progetto Globale Futures, avviato dall’associazione del panda in collaborazione Global Trade Analysis Project e Natural Capital Project. L’iniziativa ha sviluppato un innovativo modello per calcolare i costi della perdita di natura in 140 paesi e in tutti i settori chiave dell’industria, prendendo in esame sei servizi ecosistemici cruciali che la natura fornisce: fornitura di acqua; fornitura di legname; popolazione ittica; impollinazione delle colture; protezione da inondazioni, mareggiate ed erosione; stoccaggio naturale del carbonio.

I risultati di questa analisi sono piuttosto sconfortanti. In uno scenario “Business-as-Usual”, quindi in mancanza di nuove politiche e strategie di protezione, il degrado ambientale potrebbe ridurre l’apporto di questi servizi ecosistemici, determinando un calo dello 0,67 per cento del PIL globale annuale entro il 2050. Ciò equivarrebbe ad una perdita annuale di 479 miliardi di dollari.

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Il report prevede anche importanti aumenti nei prezzi globali delle materie prime chiave come legname (più 8 per cento), cotone (più 6 per cento), semi oleosi (più 4 per cento) e frutta e verdura (più 3 per cento), dal momento che i settori agricoli mondiali saranno i più colpiti dalla perdita dei benefici naturali. Ovviamente i paesi più poveri sosterrebbero la maggior parte dei costi, aggravando i rischi per milioni di persone nelle economie già oggi vulnerabili. L‘Africa orientale e occidentale, l’Asia centrale e alcune parti del Sud America sarebbero particolarmente segnate dalle conseguenze del degrado ambientale, a causa delle variazioni dei prezzi, dei livelli commerciali e di produzione. Ma anche nel nord del mondo, c’è chi si deve preparare a pesanti danni economici. Paesi come gli Stati Uniti, il Giappone, l’Australia e il Regno Unito andrebbero incontro a grandi perdite legate agli effetti di inondazioni ed erosione su infrastrutture costiere e terreni agricoli.

 

 

Ma la notizia forse più preoccupante è che lo studio non dà ancora un quadro esaustivo del problema. Come spiegato da Karen Ellis, direttore dell’economia sostenibile del WWF, al Guardian, le stime elaborate sono “molto conservative e i governi dovrebbero aspettarsi impatti molto più gravi. “[Lo studio] ha esaminato solo sei servizi ecosistemici, quindi la crisi è quasi sicuramente sottovalutata – ha dichiarato Ellis – I costi reali sono probabilmente molto più elevati, ma si tratta del primo tentativo di fare una valutazione completa, quindi è ancora una stima preliminare”.

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