Rinnovabili • Crimini ambientali: la guerra in Nagorno-Karabakh finisce in tribunale

Crimini ambientali in Nagorno-Karabakh, un arbitrato che rivoluzionerà il diritto ambientale

Il conflitto iniziato nel 1988 procede a colpi di mortaio e sentenze di tribunale. Baku ha riconquistato gran parte del Nagorno-Karabakh nel 2020 e adesso chiede i danni a Yerevan per violazioni della Convenzione di Berna che tutela fauna, flora e habitat. La sentenza scriverà un pezzo importante di storia della protezione dell’ambiente in tempo di guerra

Crimini ambientali: la guerra in Nagorno-Karabakh finisce in tribunale
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L’Azerbaijan ha chiesto un arbitrato con l’Armenia per crimini ambientali nella regione occupata da Yerevan fino al 2020

(Rinnovabili.it) – Smettetela di violare la convenzione di Berna e pagateci le compensazioni per i danni fatti in 30 anni di occupazione del Nagorno-Karabakh: avete devastato habitat protetti, messo a rischio la biodiversità, inquinato fiumi e distrutto foreste. Con questa motivazione, l’Azerbaijan vuole obbligare l’Armenia a un arbitrato internazionale che giudichi i suoi crimini ambientali mentre era la potenza occupante. Un caso che potrebbe fare scuola e fissare un precedente importante nella tutela internazionale dell’ambiente.

Carri armati e tribunali, protagonisti di 35 anni di conflitto

È l’ultimo capitolo nel lunghissimo e sfaccettato conflitto tra Baku e Yerevan. Iniziato tra l’88 e i primi anni ’90, quando nella destabilizzazione creata dal crollo dell’Unione Sovietica l’Armenia riesce a prendersi manu militari una regione fino ad allora sotto controllo azero, il Nagorno Karabakh. E riconosciuta come tale dalla comunità internazionale.

Karabakh che è rimasto sotto occupazione armena fino all’autunno del 2020, quando le forze armate di Baku (con l’aiuto decisivo dei droni di Erdoğan) in 44 giorni hanno riconquistato quasi tutta l’area. Lo “schiaffo in faccia” del presidente azero Ilham Aliyev al premier armeno Nikol Pashinyan è finito con un accordo per il cessate il fuoco e l’arrivo di militari russi come forza di interposizione.

In realtà, in questo che è spesso chiamato conflitto congelato o a bassa intensità, le schermaglie tra gli eserciti continuano incessantemente, anche negli ultimi due anni. E muoiono decine di persone, la maggior parte civili.

Ma la guerra prosegue anche su un altro fronte, quello giuridico. Baku e Yerevan da tempo hanno intentato cause l’una all’altra di fronte ai tribunali internazionali. Ad esempio, nell’ottobre del 2021, di fronte alla Corte internazionale di giustizia i rappresentanti dei due paesi hanno accusato la controparte di violazioni della convenzione Cerd per presunte campagne di persecuzione su base etnica.

È una forma di conflitto anche questa, benché più sottile e lontana dai notiziari. Squadre di esperti nei ministeri degli Esteri dei due paesi cercano ogni appiglio possibile per ottenere riconoscimenti internazionali della propria posizione, anche con il ricorso a corti internazionali.

Braccio di ferro sui crimini ambientali

Adesso l’Azerbaijan -un paese che non brilla per tutela dei diritti umani- prova a giocare la carta dell’ambiente. Il 19 gennaio, il paese guidato dalla dinastia degli Aliyev ha presentato formalmente la richiesta di un arbitrato internazionale ai sensi della convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa. L’accusa è di aver causato una “distruzione estesa” in Nagorno-Karabakh all’ambiente e alla biodiversità. Tra le varie evidenze presentate, Baku sottolinea anche l’impatto di siti e infrastrutture come la miniera di rame e molibdeno di Demirli-1, la centrale idroelettrica di Galacha a Lachine e la miniera di carbone di Chardaghli.

Ma la convenzione di Berna, che entrambi i paesi hanno ratificato, non dice nulla sulle situazioni di conflitto né sullo stato di occupazione. Ed è la prima volta che viene chiamata in causa per circostanze belliche. La richiesta di Baku è destinata a finire nel nulla? Probabilmente no. Anzi, farà scuola.

“La domanda che ci si dovrebbe fare è: la convenzione obbliga esplicitamente lo Stato occupante o no? Il testo della convenzione di Berna su questo punto è silenzioso”, spiega a Rinnovabili.it Marco Longobardo, Senior Lecturer in Diritto internazionale all’Università di Wesstminster. “Ma c’è ormai un certo consenso tra gli studiosi: se un trattato sull’ambiente non esclude l’applicazione in tempo di guerra, allora si dovrebbe applicare – sempre che sia compatibile col diritto internazionale umanitario che regola le situazioni di conflitto”.

La tutela dell’ambiente nel diritto internazionale non è codificata in modo sistematico, e anche quando i trattati ne parlano -come fa la 4° convenzione di Ginevra, il testo di riferimento nel diritto internazionale umanitario su cosa può fare e non fare una potenza occupante- la sua applicazione è difficile. Per questo c’è molto dibattito tra gli addetti ai lavori su quale sia l’interpretazione più solida in casi, come quello sollevato una settimana fa dall’Azerbaijan, in cui il testo giuridico principale di riferimento non dà indicazioni su come trattare crimini ambientali in tempo di guerra.

“Negli anni è sorta una giurisprudenza costante che conferma che se c’è occupazione di un territorio, allora si applica tutta la normativa sui diritti umani, di principio”, ragiona Longobardo. Lo afferma la Corte internazionale di giustizia nel 2004 quando definisce il muro tra Israele e Cisgiordania come illegale, lo ribadiscono altre sentenze come quella del caso Congo contro Uganda del 2005 (dove i crimini ambientali sono riconosciuti e, di recente, quantificati). O ancora, i pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo a Cipro Nord.

Forse l’esempio migliore è un draft article del 2011 della Commissione Onu sul diritto internazionale, un organo che si occupa di tradurre in norme scritte il diritto consuetudinario: “Sostiene che in principio i trattati che proteggono l’ambiente continuano ad applicarsi in caso di conflitto armato”, ricorda il docente di Westminster. Come la Convenzione di Berna.

È proprio per i suoi contorni incerti dal punto di vista giuridico che il caso Azerbaijan contro Armenia può fare da apripista e diventare un punto di riferimento per casi analoghi, sui crimini ambientali in tempo di guerra, in futuro. Non solo quando si dovesse fare appello alla Convenzione di Berna, ma per tutti i casi in cui il trattato invocato non specifica se si applica anche in tempo di guerra.

(lm)