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Alla COP26 atterrano più jet privati che nuovi impegni sul clima

La seconda giornata del vertice globale sul clima era dedicata agli annunci da parte dei capi di Stato e di governo. Ma l’ambizione climatica latita: bene solo l’India mentre tutto tace dalla Cina, e USA e UE ripetono impegni già annunciati

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Il presidente della COP26, il britannico Alok Sharma. Crediti: UNclimatechange (CC BY-NC-SA 2.0) via Flickr

India promossa alla COP26: sarà net zero nel 2070

(Rinnovabili.it) – Dopo la sfilata di leader mondiali durante il secondo giorno di COP26, il vertice sul clima di Glasgow incassa qualche buona promessa dai grandi inquinatori e mette in cassaforte passi avanti su deforestazione e taglio delle emissioni di metano. È abbastanza per mettere sui binari giusti la transizione ecologica globale? Ancora no: il gap che ci separa dalla traiettoria degli 1,5 gradi di riscaldamento globale resta troppo ampio. L’immagine che riassume meglio cosa è successo il 1° novembre in Scozia è l’ingorgo di jet privati sui cieli di Glasgow: tante emissioni, poche nuove promesse.

Promossa l’India che finalmente ha svelato il piano per raggiungere la neutralità climatica. Pollice in su anche per gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che hanno confermato gli impegni già presi e aggiunto qualche iniziativa tematica. Resta la grande incognita Cina: il colosso asiatico, primo inquinatore mondiale, non sembra voler fare grandi annunci dal palcoscenico scozzese della COP26.

Show dell’India alla COP26: sarà clima neutrale nel 2070

Il 1° novembre i riflettori di Glasgow sono stati tutti per il presidente indiano Narendra Modi. Il subcontinente raggiungerà la neutralità climatica entro il 2070, dieci anni dopo la Cina e 20 dopo l’UE e gli USA. Data fissata molto in là ma accompagnata anche da nuovi obiettivi entro il 2030: un tassello cruciale per assicurare l’annuncio fatto alla COP26 di Glasgow si traduca immediatamente in azioni concrete.

Per la fine di questo decennio, l’India raggiungerà i 500GW di capacità installata da fonti rinnovabili. L’obiettivo precedente era fissato a 450GW. In questi numeri è compreso anche il mini idroelettrico. Sempre entro il 2030, le fer costituiranno il 50% del mix energetico. Anche in questo caso Modi ha alzato l’obiettivo precedente, stabilito nel 2016, che fissava il target entro fine decennio al 40%. Infine, per il 2030 l’India ridurrà del 45% l’intensità di carbonio rispetto ai livelli del 2005 (il target precedente era del 33%).

Anche se mancano i piani dettagliati per la transizione fra il 2030 e il 2070, i numeri presentati da Modi parlano chiaro: sono in linea con quanto è necessario per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia degli 1,5°C. Secondo i modelli dell’IPCC, infatti, bisogna raggiungere entro il 2050 la neutralità di carbonio (la sola CO2) e nel 2070 la neutralità rispetto a tutti i gas serra.

L’appello dell’indiano Modi: servono 1.000 mld dai paesi ricchi

Il presidente indiano ha ribadito un concetto su cui torna in ogni uscita pubblica: la transizione dei paesi in via di sviluppo, come l’India, non può rispettare i tempi strettissimi dettati dalla crisi climatica senza un aiuto. Aiuto sostanzioso che deve arrivare dai paesi più ricchi, che sono anche i responsabili maggiori delle emissioni storiche. Secondo Modi servono 1.000 miliardi di dollari l’anno in finanza per il clima: 10 volte tanto la cifra di oggi.

L’India oggi è il terzo più grande inquinatore al mondo con il 7,18% delle emissioni di gas serra globali, subito dietro la Cina e gli Stati Uniti. Ma è responsabile solo di una frazione delle emissioni di gas serra accumulate dal 1750 a oggi: 51GtCO2e contro le 397 degli Stati Uniti, le 214 della Cina e le 180 della Russia.

Ad ogni modo, l’annuncio di Modi è un toccasana per la COP26 di Glasgow perché dimostra che l’ambizione climatica significativa può nascere anche in paesi in piena crescita e molto inquinanti. L’India, sul fronte emissioni, ha un trend di crescita importante. Nel 2016-2019, i suoi gas serra sono cresciuti a un ritmo più rapido della media globale (+0,7%) surclassando persino il Dragone cinese che si ferma a 4 decimali sopra la media.

È anche un paese che ospita il 17 per cento della popolazione mondiale e la sua economia continuerà a crescere a un passo sostenuto, secondo il Fmi del 9,5% quest’anno e dell’8,5% nel 2022. Una ripresa post-Covid che è alimentata soprattutto da carbone e altre fossili (gas e petrolio). Il carbone termico, da solo, pesa per più del 50% del mix energetico.

Gli altri annunci della 2° giornata di COP26

Tutto tace invece sul fronte cinese. Il presidente Xi Jinping non si è nemmeno fatto vedere, segnale piuttosto chiaro su cosa pensa si possa ottenere da questo vertice sul clima. La Cina – ha detto Xi in un messaggio scritto – si aspetta che i paesi più ricchi facciano la loro parte e sostengano la transizione di tutti gli altri. La finanza climatica sarà uno dei veri nodi del summit di Glasgow, come ci si attendeva. Oltre a questo, il nulla: nessun nuovo impegno da Pechino che si limita a ribadire le promesse già fatte: neutralità climatica nel 2060 e picco del carbonio nel 2030, inizio del declino del carbone nel 2026 e 1.200GW di nuova capacità installata di rinnovabili entro fine decennio.

Bolsonaro ha provato maldestramente a fare il gioco delle tre carte. Alla COP26 ha annunciato nuovi impegni, ma in realtà sono soltanto la riedizione di quelli annunciati dal governo precedente. Impegni che lo stesso presidente del Brasile, a inizio 2021, aveva abbassato. L’Unione Europea per voce di Ursula von der Leyen ha esortato le delegazioni della COP26 a mettere un prezzo globale al carbonio.

Gli Stati Uniti hanno ribadito il loro piano per la neutralità climatica entro metà secolo, anche se il presidente Biden è arrivato zoppo al summit sul clima perché non è ancora riuscito a farlo approvare dal Congresso. Anche l’annuncio dei 3 miliardi di dollari in misure di adattamento al climate change è una ripetizione di quanto già promesso al Leaders Summit on Climate di aprile e a settembre. Il totale della finanza climatica targata USA è sempre fermo a 11,4 mld di dollari. (lm)