La Gran Bretagna non brilla per chiarezza di obiettivi da raggiungere. E molti paesi in via di sviluppo si oppongono a tenere gli incontri preliminari in videoconferenza
Rischio flop altissimo per la COP26 di Glasgow
(Rinnovabili.it) – Sulla strada verso la COP26 di Glasgow si moltiplicano gli ostacoli. I lavori preliminari sono in un ritardo mostruoso perché il paese organizzatore, cioè la Gran Bretagna, non riesce o non sa tirare le fila, e perché un gruppo di paesi che ai negoziati internazionali è noto come Gruppo dei Like-Minded non ne vuol sapere di lavorare in videoconferenza.
Per il premier inglese Boris Johnson l’appuntamento di Glasgow è importantissimo. Dopo la Brexit, Londra vuole dimostrare di avere una leadership globale anche senza l’UE, e vuole usare il clima come trampolino di lancio. Ma appuntamenti così delicati non si organizzano da soli. E pare proprio che nessuno, a Downing Street, abbia idea di come muoversi.
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Un consigliere speciale sul clima del governo britannico ha spiegato a Politico (dietro anonimato) che se Londra non spiega cosa vuole ottenere dalla COP26, è perché non lo sa neanche lei. Il vuoto in parte si spiega anche con le idee che Johnson vuole introdurre, ma che spaccherebbero i negoziati ancor prima di iniziare. Il premier britannico, ad esempio, voleva creare un club ristretto di paesi che si impegnano ad applicare una carbon border tax. Ma la carta del protezionismo verso le esportazioni dei paesi che inquinano di più, gli hanno spiegato, farebbe naufragare tutto e va contro lo spirito multilaterale su cui si muovono i negoziati.
Intemperanze di Johson a parte, c’è un altro problema non da poco. Come spiega Climate Hone News, il Gruppo dei Like-Minded, una ventina di paesi in via di sviluppo tra cui alcuni big come la Cina e l’India continua a rifiutarsi di tenere gli incontri preliminari in videoconferenza. Questi incontri sono fondamentali per far sì che la COP26 di Glasgow non fallisca, perché servono per raggiungere un accordo di massima che poi, durante l’appuntamento di novembre, deve “solo” essere limato dai team negoziali e ricevere l’imprimatur definitivo dalla leadership politica di ogni paese. Farli in presenza è un rischio che le Nazioni Unite preferiscono non correre a causa del Covid. Ma i Like-Minded spiegano che i paesi meno sviluppati sarebbero svantaggiati per problemi di connessione, oltre a esserci un problema anche con il fuso orario.
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I temi su cui bisogna trovare un accordo non sono certo dettagli. Bisogna mettere gli ultimi punti fissi al regolamento attuativo dell’accordo di Parigi. Tre le questioni ancora aperte: regole condivise per un mercato globale del carbonio, quadro comune per il reporting dei tagli alle emissioni, e armonizzare i piani sul clima di tutti i paesi quanto a finestra temporale.