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I contenziosi climatici servono davvero a qualcosa?

Il monitoraggio annuale della London School of Economics sull’andamento dei processi per il clima contro governi e imprese nel mondo conferma i casi in crescita. E i buoni risultati: gli esiti positivi in tribunale sono oltre il 50%, ma anche casi meno fortunati aiutano a promuovere un’azione climatica più robusta

Contenziosi climatici: nel 2022 boom di casi contro le aziende
Foto di Markus Spiske su Unsplash

2/3 dei contenziosi climatici contro le imprese per climate washing risale a dopo il 2021

(Rinnovabili.it) – Cresce il numero di processi contro governi e aziende per la (mancata) azione per il clima in tutto il mondo. Anche se il tasso di crescita sta rallentando, complice un “acuto” registrato nel 2021. Su 2.341 casi totali, circa 2/3 (1.557) risalgono a dopo il 2015, e solo tra maggio 2022 e lo stesso mese del 2023 se ne sono aggiunti altri 190. D’altro canto, i contenziosi climatici sono uno strumento sempre più diffuso per stimolare l’adozione di politiche sul clima migliori o per lottare contro la disinformazione climatica. Solo negli ultimi 12 mesi ne sono nati in 7 nuovi paesi (Bulgaria, Cina, Finlandia, Romania, Russia, Thailandia e Turchia).

È la fotografia scattata dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment della London School of Economics and Political Science nell’aggiornamento dell’ormai consueto rapporto sui contenziosi climatici nel mondo.

Contenziosi climatici: aziende sempre più nel mirino

Se c’è una tendenza interessante non è il rallentamento ma l’aumento corposo, in proporzione, dei casi contro le aziende. Ha avuto infatti un vero e proprio boom il numero di contenziosi climatici contro le imprese per pubblicità ingannevole (climate washing). Tra il 2015 e il 2022 sono state intentate in totale 81 cause. Di queste, 27 risalgono al 2021 e 26 al 2022, rispetto ai soli 9 casi del 2020 e ai 6 del 2019. Di conseguenza le cause contro i governi sono passate dal rappresentare il 70% del totale a un più bilanciato 54%.

“Le cause riguardanti la disinformazione e l’informazione parziale e senza contesto sui cambiamenti climatici sono tutt’altro che nuove, ma negli ultimi anni si è assistito a un’esplosione di casi di ‘climate washing’ presentati sia ai tribunali sia a enti amministrativi come le agenzie di protezione dei consumatori”, spiegano Joana Setzer e Kate Higham, le autrici del rapporto. Cosa viene contestato? Soprattutto la veridicità degli impegni climatici delle aziende, in particolare quando questi non sono supportati da piani e politiche adeguate”, aggiungono. “L’aumento dei casi di climate washing riflette preoccupazioni più ampie relative alla responsabilità delle aziende per gli impegni sul clima, oltre ai dibattiti in corso sul ruolo delle aziende nel processo decisionale sul clima”.

I processi sul clima sono davvero utili?

I casi crescono, d’accordo. Ma quali sono i risultati? Lanciare un contenzioso climatico ha un effetto positivo sul clima nella maggior parte dei casi, constata il rapporto. Oltre il 50% delle cause sul clima ha “esiti giudiziari diretti” che possono essere considerati favorevoli all’azione per il clima. Ad ogni modo, le cause sul clima “continuano ad avere un impatto indiretto significativo sul processo decisionale in materia di cambiamenti climatici” anche al di fuori delle aule di tribunale. Senza contare che spesso le sentenze possono costituire dei precedenti per altri processi, soprattutto per quanto riguarda i criteri da adottare per giudicare la condotta di un governo o di un’azienda.

C’è poi uno sviluppo importante nei contenziosi climatici lanciati nei paesi del sud globale (che sono anche essi in crescita). Sono sempre di più i casi in cui il punto della questione è il rispetto dei diritti umani e dei diritti garantiti dalla costituzione. Combattere per il clima è anche una questione di giustizia sociale e di benessere a 360 gradi.