Lo squarcio nel velo di ozono che protegge il pianeta dai raggi UV durerà solo una manciata di giorni meno del 2020. Il protocollo di Montreal sta funzionando, ma non blocca tutti i composti dannosi per l’ozono. Il diclorometano, ad esempio, è raddoppiato in 10 anni
I dati di Copernicus sul buco dell’ozono
(Rinnovabili.it) – Quest’anno il buco dell’ozono si chiuderà solo pochi giorni prima rispetto alla stagione record del 2020. Sarà quindi il secondo più duraturo dal 1979, quando sono iniziate le rilevazioni. La doppietta è un segnale preoccupante ma non significa che il protocollo di Montreal non stia funzionando, precisa il sistema europeo di monitoraggio satellitare Copernicus.
Il protocollo di Montreal è stato firmato nel 1987 da 192 paesi per agire a livello globale contro il buco dell’ozono. L’accordo internazionale prevede la messa al bando di alcune sostanze – i clorofluorocarburi o CFC – che ne sono i principali responsabili. Bromuro di metile, cloroformio di metile, tetracloruro di carbonio e altri composti simili sono tra le sostanze che fino ad allora erano ampiamente usate per frigoriferi e condizionatori. Con l’emendamento Kigali, il protocollo adesso mette al bando anche gli HFC, gli idrofluorocarburi, parimenti dannosi per il velo d’ozono che avvolge la Terra.
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Durante la Giornata mondiale dell’ozono, lo scorso 16 settembre, lo squarcio che solitamente si forma sopra l’Antartide aveva dimensioni da record: più di 23 milioni di km, grande quanto l’intera America del Nord. Più è vasto e duraturo, meno riesce a schermare il pianeta dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole che sono dannose per gli esseri umani. L’ozono è anche fondamentale per le piante perché ne favorisce la capacità di assorbire CO2.
A pochi giorni dalla fine dell’anno, il buco dell’ozono è quasi richiuso. Si riaprirà l’anno prossimo, alimentato soprattutto dalle emissioni storiche ancora in atmosfera. Ma non solo da quelle. Ci sono altre sostanze che non sono coperte dal protocollo di Montreal ma concorrono a creare il buco dell’ozono.
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Una di queste è il diclorometano (DCM), usato come solvente in processi chimici, ad esempio per rimuovere vernici e grassi, ma anche nell’industria alimentare dove è impiegato nella preparazione di estratti di aromi e del luppolo. Uno studio dell’università di Bristol e dell’università di Pechino appena pubblicato rivela che le emissioni di DCM sono addirittura raddoppiate negli ultimi 10 anni. La fonte principale è la Cina, dove i valori sono quasi triplicati passando da 231 Gg/anno nel 2011 a 628 Gg/anno nel 2019.