I borghi italiani sono luoghi affascinanti, ricchi di arte, storia, cultura ed eccellenze enogastronomiche. Ma turismo e cultura non bastano se manca l’accesso ai servizi essenziali, se internet non funziona e se non ci sono opportunità di lavoro
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Dopo anni di progressivo e inesorabile abbandono dei centri lontani dalle aree urbane, sembra che stia iniziando una fase nuova. Si sta risvegliando l’interesse per i piccoli borghi e per le risorse delle comunità di questi territori.
Tuttavia, in quasi tutti i piccoli comuni mancano servizi essenziali o luoghi di aggregazione sociale. Eppure si scopre dal Rapporto Soluzioni e tecnologie per i piccoli comuni e le aree montane della Fondazione Symbola che hanno un patrimonio culturale importante, e che la maggior parte dei prodotti enogastronomici di qualità sono in queste aree.
Ne parliamo con Elena Jachia, direttrice Area Ambiente della Fondazione Cariplo. La dott.ssa Jachia ha partecipato al Festival della Soft Economy organizzato a Treia dalla Fondazione Symbola nella sezione dedicata ai “Borghi contemporanei”.
Il Sustainable Cities Index ipotizza che le città medie europee siano ai primi posti per vivibilità sostenibile. Quale potrebbe essere il ruolo dell’Italia se riuscisse a decongestionare i centri urbani rivitalizzando i piccoli comuni?
Le aree interne italiane sono piccoli scrigni di biodiversità, storia, architettura, eccellenze eno-gastronomiche e tradizioni culturali.
Tuttavia, per vivere bene in queste aree i cittadini devono avere accesso a servizi essenziali (scuola, sanità, trasporti), a collegamenti telefonici e internet di qualità e a opportunità di vita e di lavoro paragonabili a quelli delle aree urbane.
Solo così si possono abbattere le disuguaglianze e si può contrastare l’“inverno demografico” che attanaglia i piccoli centri.
Il Piano nazionale borghi finanziato con il PNRR ha assegnato a 310 tra borghi e piccoli comuni oltre 760 milioni di euro da investire nella rigenerazione culturale, sociale ed economica. Il Piano riesce a connettere i territori creando uno sviluppo diffuso o rischiano di rimanere interventi isolati?
Il tema dei borghi è fonte di accese discussioni, tra idealizzazioni bucoliche e rassegnazioni disfattiste, tra chi esalta le eccellenze nascoste delle aree rurali e montane e chi vede solo le magnifiche sorti delle città.
Il bando del Ministero della Cultura ha previsto e assegnato ingenti risorse ai borghi tramite una Linea A (fino a 20 milioni a un singolo borgo per ciascuna regione italiana) e una Linea B (risorse più contenute ma anche in questo caso allocate a singoli o a pochi comuni).
Questo approccio potrebbe generare esperienze “isolate”, quasi delle monadi a sé stanti, anziché promuovere una collaborazione diffusa tra comuni contigui con problemi e caratteristiche simili e stimolare una visione sovracomunale.
In questo scenario Fondazione Cariplo, pur non condividendo l’approccio del bando, ha deciso di sostenere un percorso di accompagnamento dello stesso per i comuni lombardi, in collaborazione con Regione Lombardia e ANCI Lombardia.
Le risorse del PNRR sono probabilmente irripetibili e i piccoli comuni, pur con pochissime risorse umane e finanziarie, non possono lasciarsele sfuggire.
Il rammarico è che il bando non abbia scelto un approccio collaborativo, basato su partenariati sovracomunali di più ampie dimensioni e su alleanze tra enti di diverso tipo (ad esempio del terzo settore).
La rivitalizzazione delle aree interne passa attraverso lo sviluppo sostenibile e la valorizzazione delle risorse locali, ma turismo e cultura non bastano. Cosa ne pensa?
Concordo, il turismo o la cultura da soli non bastano, se i residenti dei borghi non hanno servizi per i propri familiari o non hanno accesso alla rete, se le iniziative turistiche non vengono accompagnate da uno sviluppo del settore primario, da una costante manutenzione del territorio e da un obiettivo di conservazione della biodiversità, da iniziative di formazione e capacity building a livello locale o da interazioni forti tra aree rurali e aree urbane.
Le economie locali possono conoscere un nuovo sviluppo solo tramite la creazione e il consolidamento di reti collaborative, anche di tipo imprenditoriale.
Fondazione Cariplo ha promosso in due aree interne lombarde il programma intersettoriale AttivAree. Che tipo di approccio ha utilizzato e quante risorse ha messo a disposizione dei territori?
AttivAree è un programma avviato da Fondazione Cariplo nel 2016 e concluso nel 2021, grazie alla collaborazione delle sue 4 aree filantropiche (Ambiente, Servizi alla persona, Cultura e Ricerca scientifica).
L’obiettivo è dare nuova vita alle aree interne del nostro territorio lombardo e promuovere uno sviluppo locale sostenibile, che valorizzi le risorse ambientali, economiche, sociali e culturali del territorio, nonché i legami di collaborazione, solidarietà e appartenenza che dal territorio si generano.
Tramite AttivAree sono stati sostenuti due ampi progetti territoriali: “Valli resilienti”, proposto dalla Comunità Montana di Valle Trompia e Valle Sabbia (BS) insieme a numerosi enti del Terzo settore; “Oltrepò biodiverso”, coordinato dalla Fondazione Sviluppo Oltrepò Pavese (PV).
Entrambi i progetti erano basati su diversi assi di sviluppo, non univoci e determinati localmente e sono stati realizzati da partenariati ampi e variegati, che hanno sperimentato anche la coprogettazione tra enti pubblici ed enti del terzo settore pubblici.
Tutto il programma, che ha avuto una dotazione complessiva di 10 milioni di euro, è raccontato nel volume AttivAree. Un disegno di rinascita delle Aree Interne edito dal Mulino.
Da ultimo, mi fa piacere rilevare che il borgo prescelto da Regione Lombardia per la linea A del bando (Livemmo) fa parte del territorio che ha partecipato a Valli resilienti. Tuttavia, l’auspicio è che l’esperienza AttivAree consenta a Livemmo di realizzare una compartecipazione dei benefici del progetto il più possibile ampia con il territorio circostante.
Articolo pubbliredazionale