Un gruppo di ricercatori ha proposto la provocatoria definizione dopo aver rinvenuto tracce di frammenti plastici in sedimenti oceanici datati fino al 1834.
Dopo l’età della pietra, quella del bronzo e del ferro, rischiamo che il nostro tempo venga ricordato come l’età della plastica
(Rinnovabili.it) – Dopo l’età del bronzo e quella del ferro arriva l’età della plastica: a proporre la provocatoria definizione è stato un gruppo di ricercatori dello Scripps Institution of Oceanography dell’Università della California, a San Diego che hanno rinvenuto frammenti plastici in sedimenti fossili datati fino al 1834.
Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, la presenza di frammenti di plastica potrebbe essere utilizzata per determinare l’inizio del cosiddetto Antropocene, il periodo geologico in cui l’attività umana avrebbe preso il sopravvento sulle altre forze naturali determinando profondi cambiamenti sull’ecosistema terrestre.
I ricercatori californiani hanno analizzato campioni di sedimenti prelevati dal fondale oceanico a largo della costa di Santa Barbara: la presenza di frammenti di plastica risulterebbe in costante aumento dalla metà dell’ottocento con un incremento esponenziale a partire dal 1940 e negli ultimi 70 anni, in concomitanza con la crescita nella produzione di materie plastiche.
Secondo quanto riportato nello studio, dal 1940, la quantità di plastica rinvenuta nei sedimenti raddoppierebbe ogni 15 anni: nei campioni da 10×10 cm datati al 2010, l’ultimo anno analizzabile attraverso i reperti fossili, sono stati rinvenuti fino a 40 particelle di plastica, in grande maggioranza fibre tessili sintetiche (circa 2/3 del totale analizzato), seguite da frammenti di plastica scomposti (1/5) e da pellicole di plastica (1/10).
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“Sicuramente non vengono smaltiti correttamente – ha commentato Jennifer Brandon, principale autrice dello studio presso lo Scripps Institution of Oceanography dell’Università della California di San Diego, riguardo l’enorme quantità di rifiuti da fibre tessili sintetiche rinvenute sui fondali marini – Non li stiamo filtrando correttamente a livello di impianto domestico o di trattamento dei rifiuti. Penso che sia la prossima grande frontiera: cosa stiamo facendo con le nostre acque reflue e da cosa produciamo i nostri vestiti, perché, fino ad oggi abbiamo sversato i nostri scarti di plastica direttamente nell’oceano?”.
“La traccia del nostro amore per la plastica rimane nei nostri reperti fossili – ha concluso la dottoressa Brandon – Si tratta di un pericolo per le forme di vita che abitano il fondo dell’oceano: barriere coralline, cozze, ostriche e così via. Ma il fatto che stia entrando nella nostra documentazione fossile rende il problema una questione esistenziale. Tutti noi abbiamo studiato a scuola l’età della pietra, quella del bronzo e del ferro… e questa? Sarà conosciuta come l’età della plastica? Credo sia abbastanza preoccupante che le nostre generazioni saranno ricordate per questa ragione”.
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