Che cos’è un Piano Strategico di Sostenibilità, quanto è diffuso tra le nostre aziende, come si attua concretamente e, specialmente, quanto influisce sulla strategia del business?
Dall’analisi alla mappatura, come definire un Piano strategico di sostenibilità
(Rinnovabili.it) – Già nel 2012 Impronta Etica aveva condotto una ricerca tra le aziende associate per verificare il grado di integrazione della sostenibilità nel business da cui era emerso che le aziende stavano avviando progetti che potessero essere raggruppati sotto una funzione Corporate Social Responsibility (CSR), ma con un grado di integrazione relativamente basso sia tra essi che con il business.
Nel 2015 ci sono state delle modifiche – apportate al Codice di autodisciplina delle società quotate alla Borsa Italiana – che hanno iniziato ad attribuire in modo formale un maggior peso ai temi di sostenibilità, storicamente molto citati nelle dichiarazioni dei CEO, ma assai meno presenti nelle decisioni del C.d.A.
Tuttavia tali modifiche hanno avuto impatto solo su quelle società che, in quanto quotate, possedevano già una struttura potenzialmente pronta a recepire un primo passo verso il cambiamento tale da favorire l’integrazione strutturata della sostenibilità del business.
Nel 2017 la società di consulenza EY , con il supporto dell’istituto di ricerca internazionale GFK Eurisko, ha analizzato come aziende di settori diversi si rapportino all’integrazione della sostenibilità nel proprio core business. In questo documento – che consiglio di leggere – è descritto in modo strutturato come l’obiettivo dell’integrazione riguardi una prospettiva di medio/lungo termine, e che una pianificazione in questo senso potrà essere attuata solo da imprenditori fortemente motivati a farsi portatori di una tale visione.
Nonostante nella ricerca EY sia emerso un graduale avvicendamento delle aziende sull’affrontare come potersi occupare di sostenibilità e in modo coerente con il proprio business rimango profondamente convinta che siano ancora poche le aziende italiane di taglia piccola e media impegnate e capaci di affrontare la sostenibilità in modo integrato.
Nel mio dialogo quotidiano con le imprese mi capita spesso di osservare come – a seconda del settore merceologico in cui operano – i temi da esse affrontati nel quadro più generale della sostenibilità, siano quelli che nascono da obblighi normativi o sulla spinta dell’interesse manifestato sullo specifico argomento dai singoli clienti (siano essi consumatori o aziende), in assenza tuttavia di un approccio organico e di una visione strategica di lungo termine e ampio respiro.
Lo scenario normativo sta comunque cambiando. Chi non inizia a ragionare (in anticipo) su questi fattori, riuscendo così a guadagnare un posizionamento di mercato distintivo – facendo associare il proprio brand al concetto di “sostenibile” – sarà comunque costretto dalla legge ad adeguarsi… è una palla su un piano inclinato: le imprese più illuminate, quelle che partiranno prima delle altre, saranno quelle che avranno l’opportunità di aggiudicarsi un posizionamento vincente rispetto ai competitor e quindi maggior visibilità agli occhi degli stakeholder, con una conseguente ripercussione positiva sulle revenues.
Dal 2018 è entrato in vigore il D. Lgs 254/2016 che ha introdotto l’obbligo per alcune aziende definite “di interesse pubblico” di rendicontare dati non finanziari insieme a quelli economico finanziari presenti bilancio di esercizio, (DNF: dichiarazione non finanziaria). Questo ha indotto molte società a iniziare un percorso di rendicontazione, ma non sempre la pubblicazione dei dati è accompagnata da una strategia a monte.
In questo modo le aziende rischiano di partire dal fondo (il bilancio appunto), e non dalla testa: sono profondamente convinta che senza una strategia a monte, la rendicontazione rimanga solo un bell’esercizio scritto sulla carta, fine a se stesso.
D’altro canto, la Comunità Europea si è fortemente impegnata a definire una serie di linee guida rivolte a salvaguardare l’ambiente dai cambiamenti climatici, linee guida che, una volta tradotte in leggi nei singoli paesi finiscono con il toccare pesantemente i temi dell’efficienza energetica (di cui si parla diffusamente su rinnovabili.it) e dell’economia circolare.
Lo scenario normativo sta quindi spingendo le aziende a implementare progetti che tocchino i temi della sostenibilità nelle diverse sue accezioni, (governance, sociale o ambientale).
Ma – mi chiedo – fare certificazioni ISO in ambito ambientale, progetti di welfare, di efficienza energetica, supportare onlus… è sufficiente per affermare che una società ha effettivamente integrato la sostenibilità nel proprio business ? La riposta è NO.
Cosa significa implementare un piano strategico di sostenibilità integrato al business
Quando una impresa inizia la propria attività o avvia un nuovo progetto – oltre all’idea, alla mission, alla vision, necessarie – costruisce un piano strategico (e un relativo business plan), che serve per capirne la fattibilità e definire le linee guida operative che guideranno l’implementazione del business negli anni.
Allo stesso modo, nel momento in cui un’impresa vuole operare secondo un modello efficace di implementazione della sostenibilità, dovrebbe “fermarsi un attimo a pensare”, fare ordine sulle idee e i progetti in essere, definirne le priorità, darsi degli obiettivi (misurabili) e un action plan per raggiungerli.
Il processo quindi non è molto dissimile da quello che l’azienda è abituata a svolgere, solo che ora essa deve ampliare i contenuti di business “con un diverso paio di occhiali” per rivederli in un’ottica di sostenibilità. In particolare il processo è:
PRIMA FASE DI ANALISI
Interna
Analisi dello scenario di mercato, dei mega trend, (quali ad esempio i cambiamenti climatici, il problema p della crescita delle etc)
- Benchmark delle strategie di sostenibilità sviluppate dai concorrenti/best practice
Analisi delle aspettative degli stakeholder esterni (valorizzando tutti i canali di ascolto e dialogo già esistenti all’interno dell’azienda)
Esterna
analisi dei temi particolarmente rilevanti tra tutti quelli toccano la sostenibilità, a seconda del settore, del momento di vita della azienda e della sua strategia.
- analisi dei rischi socio-ambientali (integrandoli con il Risk Management)
- analisi del piano strategico aziendale/piano industriale
analisi degli stakholder interni
SECONDA FASE DI MAPPATURA
Identificazione delle aspettative sulla base delle precedenti attività
- mappatura delle strategie/politiche esistenti e delle progettualità già in essere relativamente ai temi identificati
- Interviste al management (anche per engagement)
Raccolta dati
OUTPUT
L’output di questo processo è:
la definizione di un piano strategico di sostenibilità comprensivo di macro-obiettivi, obiettivi di dettaglio, KPI di monitoraggio, esempi di progetti che possono essere sviluppati per raggiungere gli obiettivi
la definizione una governance della sostenibilità, (ove non già esistente), che approvi il piano di sostenibilità e supervisioni e monitori il raggiungimento degli obiettivi posti nonchè , una volta raggiunti, ne strutturi di nuovi, adattando quanto definito alle eventuali evoluzioni del business.
I punti chiave: il piano di comunicazione e lengagement
Affinchè tutto questo processo non rimanga solo un bell’esercizio di presentazione in power point, è assolutamente necessario impostare fin dall’inizio un reale coinvolgimento degli stakeholder interni all’azienda e, se possibile, anche degli stakeholder esterni particolarmente rilevanti.
Oltre a questo- non come fine del processo (sarebbe green washing!) ma come leva di valorizzazione dello stesso anche in risposta alle esigenze degli stakeholder – va strutturato un piano di comunicazione esterna della strategia definita che sia a sua volta concreto e misurabile nel tempo fatto di messaggi, obiettivi e diversificato nei canali e nei target.
di Alessandra Fornasiero – CsrValue