A ottobre il sorpasso sull’Arabia Saudita, frutto di una cavalcata sull’onda del fracking. I progressi americani piacciono all’Ue, pronta a importare idrocarburi con il Ttip
Nel 2015, le previsioni parlano di un 21% di consumi derivanti dalle importazioni, contro il 60% del 2005. Numeri che gli USA sognano di incrementare fino al 2020, raggiungendo l’autosufficienza. Numeri, però, che sanno di zucchero anche sull’altra sponda dell’Atlantico, dalla quale l’Unione Europea guarda con interesse i progressi americani. Attraverso l’accordo bilaterale di libero scambio (Ttip) negoziato dall’estate 2013, il vecchio Continente punta ad accaparrarsi un po’ di quel petrolio e gas, così da svincolarsi progressivamente dalle spire russe, dato che con la crisi ucraina i prezzi cominciano a salire. Un terzo del del gas europeo sgorga dai rubinetti di Putin, e l’Ue vuole ridurre queste percentuali per non rischiare spese folli in futuro.
Il Ttip è la soluzione prediletta da Bruxelles, ma prima bisogna preparare la normativa. Le emissioni di gas serra provocate dall’estrazione e dal trattamento delle sabbie bituminose, infatti, sono più alte del 23% rispetto a quelle legate agli altri combustibili fossili usati in Ue. La direttiva europea sulla qualità dei carburanti (FQD) non ammette l’uso di quelli troppo inquinanti, per questo va “annacquata”. La metodologia utilizzata per valutare l’impronta carbonica del carburante verrà “rivista” – sostiene un report – per far rientrare nei limiti della direttiva anche gli idrocarburi non convenzionali e abilitarli all’importazione. In qualche modo bisognerà pur che gli sforzi americani vengano premiati.