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I sacchetti di plastica biodegradabili fanno discutere l’Italia

In rete esplode la polemica sull'obbligo di acquisto dei sacchetti di plastica biodegradabili negli esercizi commerciali. Ecco perché la norma non piace agli italiani

sacchetti di plastica biodegradabili

 

I perché della polemica sui sacchetti di plastica biodegradabili

 

(Rinnovabili.it) – Poche norme hanno suscitato tanta ritrosia nell’opinione pubblica quanto l’introduzione obbligatoria dell’uso di sacchetti di plastica biodegradabili nei reparti ortofrutta di tutti gli esercizi alimentari del nostro Paese. In queste ultime ore il dibattito nazionale è letteralmente sequestrato da questo unico tema: è giusto o non è giusto che siano i cittadini a pagare per i contenitori del loro cibo fresco? Dal Codacons tuonano che l’aggravio di spesa potrà raggiungere i 50 euro a famiglia, l’Osservatorio di Assobioplastiche stima un costo fra 4,17 e 12,51 euro. Secondo una analisi Gfk-Eurisko, le famiglie italiane effettuano in media 139 spese l’anno nei punti vendita della grande distribuzione e finora le catene si sono orientate su un prezzo di 1-2 centestimi a sacchetto.

Legambiente intanto cerca di tenere il punto: «L’innovazione ha un prezzo – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale dell’associazione che promuove da sempre l’uso dei bioshopper – purché sia garantito un costo equo che si dovrebbe aggirare intorno ai 2/3 centesimi a busta. Così come è giusto prevedere multe salate per i commercianti che non rispettano la vigente normativa. In questi anni gli italiani hanno apprezzato molto il bando dei sacchetti non biodegradabili, siamo sicuri che accoglieranno bene questa importante novità riguardante gli shopper leggeri e ultraleggeri finalmente compostabili».

Non sembra essere andata così. Non importa alla maggioranza dei cittadini che in precedenza il costo delle buste di plastica nei supermercati fosse nascosto nel prezzo dei prodotti. Quel che gli italiani sembrano mal sopportare è il nuovo vincolo a cui non possono sottrarsi.

 

Un obbligo europeo

Ma perché oggi abbiamo il dovere di utilizzare i sacchetti di plastica biodegradabili? Dura lex, sed lex, diceva Socrate: la direttiva europea 2015/720 sulla riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, andava recepita. All’inizio del 2017 si era aperta una procedura di infrazione europea nei confronti del nostro paese, perché ancora non aveva adempiuto al suo dovere. Così, con un emendamento al Dl Mezzogiorno (che nulla aveva a che fare con la spesa degli italiani) firmato dall’On. Stella Bianchi (Pd), lo stato si è messo in regola con l’Unione. Per quest’anno basteranno sacchetti con il 40% di materiale biodegradabile, nel 2021 si salirà al 60%.

Non c’era altro da fare che adeguarsi, dunque. Forse andrebbe chiesto ai supermercati di esplicitare quali altri costi di gestione vengono spalmati sull’intera spesa, oppure quanto costava un sacchetto in plastica al cliente prima che diventasse obbligatorio segnalarlo sullo scontrino. Solo così si avrebbe un metro di paragone e (forse) si potrebbe parlare di aumento a ragion veduta.

 

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Chi ci guadagna?

Le voci del dibattito si scaldano anche intorno alle aziende che beneficeranno della nuova politica: le imprese della chimica verde che in Italia hanno un campione assoluto: la Novamont guidata dalla manager Catia Bastioli. Alcuni organi di stampa hanno messo sulla graticola la Novamont e la sua a.d. per i buoni rapporti con Renzi. A difendere l’azienda dall’attacco è la stessa prima firmataria dell’emendamento sui bioshopper, Stella Bianchi: «Novamont non è l’unica impresa italiana che realizza sacchetti prodotti da materie prime naturali anziché da petrolio. In tutta Italia sono oltre 150 le aziende di questo settore con circa 4mila dipendenti e 350 milioni di fatturato. Noi dobbiamo essere quelli che sostengono la riconversione ecologica dell’economia». Inutile negare, però, che con l’80% del mercato, l’azienda novarese sarà quella con la fetta di torta più cospicua. Forse meno polemiche sarebbero sorte se Catia Bastioli non ricoprisse anche la carica di presidente di Terna.

 

C’erano una volta le alternative

La vera grande pecca della legge è non aver favorito il riutilizzo: vietare ai consumatori di portare da casa le proprie buste non lascia alcuno spazio di manovra nemmeno a chi sposa l’idea di una riduzione dei rifiuti. La norma coinvolge anche i mercati rionali, che hanno tempo fino a fine mese per adeguarsi. Qui l’abitudine delle persone a portare la propria borsa era più diffusa, e sarà certamente più difficile costringere gli esercenti ad adeguarsi. Non è chiaro come ciò si concilierà con una circolare del Ministero dello Sviluppo economico (7 dicembre 2017), che permette al consumatore di adoperare borse riutilizzabili, previo parere del Ministero della Salute.