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Perché la tutela del Mar Mediterraneo fa acqua da tutte le parti?

Il WWF pubblica "Verso il 2020: Fact check sulla tutela del Mediterraneo” e avverte: ad essere completamente protetto da qualsiasi intervento umano risulta, oggi, solo lo 0,03%

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Credit: WWF

La protezione della biodiversità deve diventare una delle massime priorità politiche. Il WWF avverte: bisogna proteggere almeno il 30% del Mar Mediterraneo entro il 2030

(Rinnovabili.it) – La tutela del Mare Nostrum fa acqua da tutte le parti. Questo l’impietoso verdetto del report “Verso il 2020: Fact check sulla tutela del Mediterraneo” pubblicato in questi giorni dal WWF. Secondo il documento, i 21 paesi che si affacciano sul bacino hanno sinora fallito nei confronti dell’impegno globale stabilito 10 anni fa, ossia proteggere effettivamente ed efficacemente il 10% del mare e di fermare la continua perdita di biodiversità nella regione (Obiettivo Aichi n.11 nell’ambito della Convenzione internazionale sulla Diversità Biologica).

L’analisi WWF dimostra infatti che nell’ultimo decennio quasi tutti i paesi del Mediterraneo hanno palesemente disatteso l’obbligo di creare entro il 2020 una rete adeguata di aree marine a vario titolo protette. Una soluzione che avrebbe fortemente contribuito al ripristino del capitale naturale marino.

 

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Nonostante sulla carta risulti complessivamente tutelato il 9,68% del Mar Mediterraneo, le aree protette (per norme internazionali e nazionali) che hanno propri piani di gestione sono solo il 2,48% e quelle che implementano tali piani assicurando una gestione effettiva ed efficace sono ancora meno, cioè l’1,27% e per di più localizzate nella sola sponda nord. Se poi si passa alla percentuale regionale sottoposta a protezione integrale, si scopre che solo lo 0,03% beneficia della massima tutela.

La situazione, grave, riguarda a vario titolo tutti i Paesi affacciati sul mare: l’Italia, apparentemente in una buona situazione con il 19,12% delle proprie acque territoriali protette, non si discosta dallo sconfortante quadro generale descritto dal WWF; a livello nazionale, infatti, la gestione viene effettivamente implementata solo nell’1,67% delle nostre acque marine.

 

Il nostro Paese – ha ricordato la presidente del WWF Italia, Donatella Bianchi – ha ancora aperte procedure d’infrazione sulla depurazione delle acque e sulla designazione dei siti della rete Natura 2000 che inevitabilmente hanno ripercussioni a mare. Il Santuario dei cetacei Pelagos, la più grande area di tutela transnazionale dei mammiferi marini istituita al mondo, che da solo contribuisce ad una quota del 3,4% della superficie complessivamente a vario titolo protetta del Mediterraneo, continua ad essere un gigante dai piedi di argilla, senza un vero e proprio ente gestore. È arrivato il momento che l’Italia assuma un’iniziativa nei confronti degli altri Paesi che hanno contribuito a istituirlo nel 1999 (Francia e Principato di Monaco) per far valere nel Mediterraneo nord occidentale misure reali di regolazione del traffico marittimo che salvino i cetacei ed evitino il rischio collisioni e mettano un argine all’inquinamento marino, a partire da quello della plastica”. 

 

Il Fact check del WWF è stato lanciato in vista della Conferenza delle Parti – COP 21 della Convenzione di Barcellona che riunirà la prossima settimana (2-5 dicembre) a Napoli i 21 governi del Mediterraneo. La richiesta del WWF è di aumentare in maniera considerevole gli investimenti e le risorse nella gestione delle aree protette e ripristinare habitat e specie marine minacciati dallo sfruttamento eccessivo e dagli effetti dei cambiamenti climatici globali.

La Convenzione di Barcellona offre ai governi mediterranei uno strumento unico e utile per lavorare insieme, tuttavia ha bisogno di un cambio di passo”, ha detto Giuseppe Di Carlo, direttore della Mediterranean Marine Initiative del WWF. “La cronica mancanza di investimenti e di interesse dei paesi rispetto alla biodiversità sta minando seriamente la capacità del nostro mare di mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici e di sostenere la nostra economia blu. Per i leader mediterranei – ha aggiunto Di Carlo – la protezione della biodiversità deve diventare una delle massime priorità politiche, devono cioè, impegnarsi a proteggere efficacemente almeno il 30% del Mediterraneo entro il 2030”. 

 

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