Le piccole comunità di indigeni del Sud America sono funestate dal 40% degli omicidi ambientali. I mandanti: governi e multinazionali
(Rinnovabili.it) – Due a settimana. Il ritmico succedersi degli omicidi ambientali tenta di spezzare la resistenza di uomini e donne di tutto il mondo, che prendono posizione contro la distruzione dell’ecosistema e delle loro comunità. Alcuni li ha ammazzati la polizia durante manifestazioni di protesta, altri i sicari delle multinazionali. Mentre le aziende vanno in cerca di nuove terre da sfruttare, le persone che si oppongono stanno pagando il prezzo più alto. Quello della vita. Sono almeno 116 gli attivisti uccisi nel 2014 secondo un report di Global Witness, Ong internazionale in difesa dell’ambiente e della società civile. Il dossier si intitola “Quanti altri ancora?” ed è stato rilasciato stamattina. L’anno scorso, il numero dei morti assassinati per aver tentato di salvaguardare i propri diritti, opponendosi allo sfruttamento industriale del proprio territorio, è stato quasi doppio rispetto a quello dei giornalisti uccisi nello stesso periodo. Il 40% delle vittime erano indigeni, cifra che date le esigue proporzioni delle comunità oggi esistenti, risuona di una sinistra eco: quella della pulizia etnica.
In particolare, la macabra conta rileva 29 morti in Brasile, 25 in Colombia, 12 in Honduras, 9 in Perù, 5 in Guatemala, 3 in Messico e Paraguay e uno sia in Ecuador che in Costa Rica. È probabile, tuttavia, che il numero reale delle vittime sia più alto. Molti dei delitti che Global Witness è riuscita a censire sono stati perpetrati in villaggi remoti o nel profondo della giungla, dove le comunità non hanno accesso alle comunicazioni e ai media. Sono uomini e donne lasciati soli, trattati come nemici dello Stato e barbaramente massacrati nel silenzio.
La maggior parte delle vittime è figlia delle controversie contro le grandi dighe, l’estrazione mineraria e la deforestazione. Quasi tre quarti dei morti vengono dal Sud America, dove queste invasioni dal tono imperialista sono state la testa d’ariete della voracità del progresso, giunta a spezzare l’armonico corso della vita nelle foreste tropicali.
Oltre agli omicidi, il report rende pubblici anche molti casi di violenza e intimidazione, con testimonianze di attivisti che hanno subito minacce, percosse e processi per terrorismo, colpevoli di frenare il cosiddetto “sviluppo”. Il Paese più a rischio, per quanto il Brasile detenga il primato in numeri assoluti, secondo Global Witness è l’Honduras. Qui sarebbero 101 le vittime dal 2002 al 2014, il più alto numero di omicidi pro capite.