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L’olio di palma sostenibile ammette il lavoro minorile?

Due indagini di campo hanno scoperto che tra le maggiori società al mondo nel settore dell'olio di palma sostenibile c'è chi vìola i diritti umani

olio di palma sostenibile

 

Ancora uno scandalo per l’olio di palma sostenibile

 

(Rinnovabili.it) – Esisterebbero almeno due casi in cui produttori certificati di olio di palma sostenibile violerebbero i diritti del lavoro, costringendo la manodopera a turni massacranti senza il pagamento degli straordinari, per raggiungere obiettivi di produttività al limite dell’utopia. Per rispettare le consegne, diversi i lavoratori avrebbero portato con sé mogli e figli, contribuendo ad una violazione delle norme internazionali sul lavoro minorile.

La denuncia è contenuta in un rapporto di SOMO, centro di ricerca olandese sull’operato delle multinazionali attivo dal 1973, che analizza due casi studio in Indonesia. Il primo riguarda l’azienda Murini Sam Sam, di proprietà della società Wilmar International, membro di RSPO e primo produttore mondiale di olio di palma con il controllo sul 43% del commercio mondiale. Murini Sam Sam gestisce piantagioni e impianti di trasformazione a Sumatra. Il secondo coinvolge Aneka Inti Persada, anch’essa attiva in diverse piantagioni e impianti sull’isola di Sumatra e controllata dalla Sime Darby, società malese tra i primi 10 produttori mondiali e membro di RSPO.

 

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Il bollino RSPO, un sistema di certificazione della sostenibilità dell’olio di palma, è promosso da una tavola rotonda a cui siedono le stesse aziende che ne fanno ampio uso e rappresenta un tentativo di rendere le filiere più sostenibili e garantire che la materia prima acquistata provenga da luoghi privi di violazioni dei diritti del lavoro e degrado ambientale. I rapporti delle ONG, tuttavia, sembrano dimostrare che RSPO abbia certificato olio di palma prodotto da aziende che commettono esattamente questo genere di violazioni.

I ricercatori di SOMO denunciano anche una serie di ulteriori illegalità: la pressione delle due compagnie contro la formazione di sindacati o unioni di lavoratori, l’assenza di contratti di lavoro, servizi sanitari inadeguati. Tutto ciò sarebbe al di fuori del diritto internazionale, di quello indonesiano e degli stessi standard concordati da RSPO.

I casi di studio presentati nel rapporto, spiega il centro di ricerca, dimostrano che la certificazione RSPO non è necessariamente una garanzia di produzione sostenibile. L’invito alle aziende è quindi a non affidarsi esclusivamente a questo bollino, ma a mettere in atto la cosiddetta due diligence – cioè una raccolta approfondita di informazioni – sulla propria catena di fornitura, per assicurare che i partner non commettano violazioni dei diritti umani e del lavoro.