I nostri dispositivi elettronici sono costruiti per rovinarsi dopo pochi mesi, in barba all'economia circolare. Quali soluzioni per una produzione più etica?
(Rinnovabili.it) – Lo smartphone ha cambiato la vita dei consumatori, ma è quanto di più lontano sia stato concepito rispetto al concetto di economia circolare. Ci aiuta a evitare costosi SMS grazie alle applicazioni di messaggistica on-line, ci permette di prenotare voli, treni, alberghi, sapere quando passa l’autobus. È il telecomando per l’economia della condivisione.
Ma se da un lato ci aprono spicchi di mondo che non avremmo mai potuto immaginarci, dall’altro tutto ciò ha un prezzo non trascurabile. E non si tratta di un prezzo in denaro. Una volta in possesso di uno smartphone, potremo fare cose mirabolanti, ma sarà impossibile aggiustarlo con piccole riparazioni. I prodotti Apple, addirittura, spesso possono essere aperti soltanto da chi ha gli appositi strumenti. Il più grande nemico del riciclo o della piccola riparazione, però, è l’obsolescenza programmata. Il termine, ormai piuttosto diffuso, descrive un modus operandi subdolo e studiato a tavolino da parte delle aziende produttrici. Per poter vendere sempre nuovi dispositivi, le imprese pianificano l’invecchiamento dei loro prodotti: ad esempio, impongono aggiornamenti di software troppo gravosi per l’hardware (o addirittura incompatibili), che rallentano gli apparecchi e fanno leva sull’irritazione dell’utente. Questi si vede costretto ad acquistare uno smartphone ultimo modello se vuole uscire dalle secche di un telefono che si blocca ad ogni pie’ sospinto.
La responsabilità di salvaguardare il prodotto, spesso trattato come un gioiello, è tutta del consumatore. Mentre lui culla lo smartphone come un figlio, tenendolo al riparo dentro una fodera all’ultimo grido appositamente creata per assorbire gli urti, il produttore si scarica di ogni incombenza: nessuno gli chiede di fabbricare prodotti migliori, e non fa alcuna fatica a vendere quelli programmati per rovinarsi fra pochi mesi.
Il più grande sconfitto, oltre all’utente, è l’ecosistema. Mancano incentivi per restituire i gli smartphone obsoleti e sostituirli con i nuovi, e ciò significa che dispositivi dannosi per l’ambiente passano dai cassetti del comodino alle discariche.
Leggi sulla responsabilità estesa del produttore esistono al livello europeo, ma i dettagli per il recepimento sono di competenza dei singoli Stati membri. Questo porta a sistemi molto diversi fra loro, che confondono i consumatori.
Un rapporto della Green Alliance, organizzazione britannica per lo sviluppo sostenibile, ha provato a immaginare un’alternativa: come funzionerebbe se il consumatore acquistasse, invece che un prodotto, un pacchetto di servizi? Potrebbe comprare un dispositivo, un software, la connessione 3G, il wifi e una durata minima della batteria. Se qualsiasi di questi servizi viene a mancare prima del tempo, deve essere sostituito. I dati resterebbero cloud, e si potrebbe accedervi sempre e senza il rischio di perderli. Il prodotto di seconda mano, a questo punto, potrebbe essere rivenduto sui mercati emergenti. Sembra che qualcosa di simile stia già avvenendo con i prodotti Apple in India.
Il problema è che mantenere in rete i propri dati personali e privati è rischioso. Lo dimostrano i casi di spionaggio più volte documentati. Possibile che si debba scegliere per forza tra due mali?