Arresti di massa, repressione dei media, uso dei cani per terrorizzare, celle stipate all'inverosimile, numeri e accuse vergati a pennarello sulle braccia. La denuncia degli attivisti No Dapl ora al vaglio dell'Onu
(Rinnovabili.it) – Le reazioni violente della polizia americana contro i manifestanti No Dapl finiscono sotto lo scrutinio dell’Onu. Il forum permanente sulle popolazioni indigene delle Nazioni Unite sta raccogliendo le testimonianze degli attivisti ambientali e dei leader dei nativi americani che ormai da mesi protestano contro la costruzione del mega oleodotto Dakota Access, un controverso progetto da 4 mld di dollari che prevede una pipeline di 1.800 km capace di trasportare 500mila barili di petrolio al giorno.
Nelle ultime due settimane i manifestanti sono stati attaccati più volte dalla polizia, durante marce pacifiche o mentre si trovavano nel loro campo base, cuore delle proteste. Spray al peperoncino, cani, manganelli, ma anche arresti di massa, spesso condotti sulla base di accuse tutt’altro che solide, maltrattamenti durante la detenzione. Alcuni attivisti sono stati rinchiusi in vere e proprie gabbie di dimensioni ridotte, mentre a molti è stato riservato un trattamento disumanizzante: numero e accusa vergati a pennarello sulle braccia. A ciò va aggiunta la repressione contro i media. In manette sono finiti anche giornalisti, cameraman, documentaristi, noti volti tv. Il materiale filmato in molti casi è stato distrutto dalle autorità, senza che lo preveda alcuna legge.
Così i manifestanti hanno spostato il loro campo base lungo la traiettoria dei lavori, opponendo resistenza passiva. Da qui gli arresti di massa, quasi 300 persone in totale, e la violenta militarizzazione dell’area. “Il governo sta permettendo che la polizia sia usata come una forza militare per proteggere una compagnia privata – denuncia Kandi Mossett, membro della nazione Mandan, Hidatsa e Arikara – Questa è iniziata come una protesta per la difesa dell’acqua, ma adesso è molto di più”.