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Microplastiche trovate anche nelle fosse oceaniche

Rilevata per la prima volta dagli scienziati della Newcastle University l’ingestione di microplastiche da parte di organismi marini che abitano nei fondali oceanici più profondi del mondo, a oltre 6.000 metri di profondità

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Una volta raggiunto il punto più profondo degli oceani, le microplastiche si stanziano lì ed è impossibile eliminarle

 

(Rinnovabili.it) – Le microplastiche sono presenti anche nei fondali oceanici più profondi del mondo e ormai hanno contaminato le specie che li abitano. Secondo uno studio condotto dalla Newcastle University e pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science, non esiste ecosistema marino che non sia influenzato dall’inquinamento plastico, compresi quelli che vivono in queste regioni remote del pianeta. Per la prima volta rilevata dagli scienziati, infatti, l’ingestione di microplastiche da parte di organismi viventi in 6 aree con una profondità di oltre 6.000 metri è un problema da non sottovalutare. La minaccia arriva dai prodotti non biodegradabili che, dalle pattumiere delle case, attraversano discariche e fiumi per arrivare agli oceani, dove si decompongono per poi affondare sui fondali marini, anche a grandi profondità. L’impatto dell’inquinamento plastico nelle acque meno profonde, dove soffocano delfini, balene e uccelli marini, è già ben documentato, ma lo studio dimostra che questo problema sia molto più profondo di quanto si pensi.

 

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I ricercatori hanno attirato, catturato ed esaminato creature sottomarine provenienti da sei delle fosse oceaniche più profonde del mondo: la fossa Perù-Cile, nel sud-est del Pacifico, le nuove Ebridi e le fosse di Kermadec, nel sud-ovest del Pacifico, la fossa del Giappone, Izu-Bonin e la fossa delle Marianne nel Pacifico nord-occidentale. In tutte e sei le aree, hanno rilevato l’ingestione di microplastiche da parte degli anfipodi, crostacei simili a gamberetti che si nutrono di rifiuti sul fondo del mare. Più profonda è la regione, maggiore è il tasso di consumo: nella fossa delle Marianne, che nel punto più basso arriva a una profondità di 10.890, il 100% dei campioni conteneva almeno una microparticella di plastica. Tra i materiali trovati negli “stomaci” di questi organismi marini, ci sono cotone rinforzato con poliestere e fibre fatte di lyocell, rayon, ramiè, polivinile e polietilene. 

 

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Una volta che i materiali raggiungono il mare profondo – ha detto Alan Jamieson della Newcastle University, autore principale dell’articoloi rifiuti non hanno nessun altro posto dove andare. Un fiume contaminato può essere pulito, l’inquinamento costiero può essere diluito dalle maree, ma nel punto più profondo degli oceani, i rifiuti di plastica stanziano lì”. Gli effetti delle microplastiche sulle specie che vivono nelle acque profonde non sono ancora chiari, anche se gli scienziati si aspettano le stesse problematiche rilevate nelle creature contaminate dalla plastica a profondità meno elevate (tratti digestivi bloccati, mobilità limitata), ma temono che tali effetti possano rendere questi organismi ancora più vulnerabili, dato che le fosse marine sono ecosistemi poveri di cibo che spingono i predatori a divorare tutto ciò che riescono a trovare.