Rinnovabili •

Linguaggi dell’arte green

Sostenibilità e arte contemporanea si incontrano creando nuovi spazi di riflessione e ridefinendo il confronto dialettico tra cultura e natura

Sostenibilità ambientale, gestione razionale delle risorse naturali, energie rinnovabili, abbattimento delle emissioni di CO2. Questi temi nell’ultimo decennio hanno assunto un’importanza globale travalicando i confini della politica internazionale e dei movimenti ambientalisti per diventare materia di discussione condivisa. Negli ultimi anni anche l’arte contemporanea, cartina al tornasole di questioni sociali più o meno controverse, si confronta sempre più spesso con il tema della sostenibilità creando nuovi spazi di riflessione. Da questo confronto nasce una mappa complessa in cui i temi dell’energia rinnovabile, della gestione dei rifiuti, dell’abbattimento delle emissioni, vengono gestiti con approcci molto diversi. Infatti, quando l’arte riflette sulla sostenibilità il fruitore si trova di fronte ad un ampio ventaglio di linguaggi e di codici: dal design all’arte pensata per lo spazio pubblico passando per installazioni e opere in grado di elaborare concetti complessi generando nuove piattaforme di confronto.

L’arte contemporanea si misura con i diversi temi che popolano la questione della sostenibilità utilizzando sempre più spesso quello che potremo definire l’hardware di questa tematica complessa che incrocia inevitabilmente le sfere della scienza e delle tecnica. In questo senso, parlando di energie rinnovabili, artisti e architetti contemporanei si stanno cimentando con sculture in grado di generare energia attraverso l’integrazione di tecnologie impiantistiche nel tessuto dell’opera o con una reinterpretazione in chiave estetica della tecnologia stessa. Funzionalità ed estetica si fondono, dunque, in un approccio che ha come risultato opere dal forte valore comunicativo.

L’hardware è ancora una volta protagonista, pur se in modo differente, quest’anno alla Biennale di Venezia dove l’artista turca Ayse Erkmen ha presentato un’installazione che, partendo dal rapporto tra Venezia e l’acqua, riflette sulla gestione delle risorse idriche, una questione universale che in Medio Oriente ha assunto un ruolo di primo piano. Ayse Erkmen con l’opera Plan B ha utilizzato un’area all’interno dell’Arsenale trasformandola in un impianto per il trattamento e la purificazione delle acque che vengono prelevate dal canale e successivamente restituite potabili. All’interno dell’installazione ogni parte del macchinario è visibile e autonoma pur essendo collegata agli altri componenti dal punto di vista funzionale con l’ausilio di lunghe strutture tubolari. La meccanica dell’impianto è stata così messa a nudo, occupando lo spazio e interagendo con lo spettatore in un ipotetico dialogo che ha come punto di arrivo e di partenza l’acqua come risorsa da preservare attraverso una gestione razionale e sostenibile.

Proseguendo nel nostro viaggio, la mostra Happy Tech, macchine dal volto umano (Bologna-Milano, 3 febbraio-31 marzo 2011) serve da contenitore per estrapolare una serie di esempi rappresentativi della riflessione artistica sul rapporto uomo – ambiente. I curatori Giovanni Carrada e Cristiana Parrella hanno riflettuto sui diversi indirizzi che lo stretto e atavico rapporto tra arte e tecnologia ha tracciato in questi ultimi anni. Una sezione della mostra era specificamente dedicata al concetto di ecologia, intesa nell’accezione originaria di interazione degli organismi tra loro e con l’ambiente circostante. L’uomo e l’ambiente: un delicato sistema che implica un confronto dialettico nei termini di cultura-natura e che, pertanto, può interessare la ricerca artistica. Utilizzare gli scarti dei prodotti industriali è una pratica artistica che si sviluppa negli anni sessanta in Europa e America, e che oggi ha acquisito rilievo istituzionale, forte anche di relazioni strette con altre discipline come l’antropologia, le scienze politiche e dell’educazione, la progettazione architettonica e del design, ecc… Nella mostra, i curatori riservavano tre sezioni alle pratiche del recupero dell’”usato tecnologico”, tre modi diversi per approcciarsi al problema del riciclo in rapporto alla creatività artistica. La prima, intitolata Emancipare, fa leva sul concetto della meraviglia, principalmente provocato da un materiale o un oggetto trovato allorché il loro vissuto emerge dalle trame della loro biografia materica e formale Lo scultore inglese Tony Cragg con l’installazione Aeroplane, concepita come serie già nel 1979, ricompone figure di oggetti quotidiani attraverso assemblaggi di detriti lasciati da mareggiate su spiagge e litorali. Compie un lavoro estetico accostando schegge di oggetti secondo criteri cromatici, di forma e per tipologia di materiali e restituisce allo spettatore un’immagine che è l’unione di ciò a cui il frammento rimanda e della nuova figura creata. La seconda sezione della mostra, e seconda direzione per un’analisi del concetto di riciclo nella relazione tra arte e tecnologia, è Proteggere l’ambiente. L’opera dell’artista-designer italiano Martino Gamper, è paradigmatica della forte connessione tra funzionalità ed estetica tipica di gran parte della più attuale ricerca creativa. Robot Chair (2008) è un ibrido tra opera d’arte e oggetto di design, realizzato con scarti di arredi (spesso sedie, mobili, tavoli) con la finalità di dar vita a un oggetto nuovo e multifunzionale. Combinando materiali di seconda mano, artigianalità e produzione industriale, Gamper propone una creazione con una forte carica estetica, risultato di quell’indagine geografica, storica e umana (relazionale) tipica della progettualità del design. Creare il nuovo è l’ultima sezione di Happy Tech che interessa il tema del riciclo. È dedicata all’artista brasiliano Vik Muniz, in tempi recenti paladino di un impegno sociale nei confronti dei gravi problemi sollevati dalle metropoli della sua terra. Nella serie Pictures of Junk porta avanti la sua predilezione per materiali non ortodossi in contrasto con temi classici, quali il ritratto o la mitologia. Utilizza scarti di lavorazioni industriali, da piccoli oggetti come viti e bulloni, a elettrodomestici dismessi, automobili o elementi prefabbricati di grandi dimensioni, per dar vita ad affreschi figurativi (a metà tra la texture bidimensionale e il chiaro-scuro del disegno) godibili da un punto di vista sopraelevato. Sono installazioni ambientali di grande impatto emozionale e spesso costruite in compartecipazione con la popolazione locale.

A lato di queste riflessioni interne alle dinamiche della ricerca artistica, uno spazio va riservato all’incontro tra l’arte e il mondo dell’impresa, incontro che si consuma all’insegna della sostenibilità. Da un lato le aziende con il loro bisogno di comunicare valori e contenuti sostenibili utilizzando codici nuovi e virtuosi. Dall’altro, il mondo dell’arte e la nascita di iniziative quali Enelcontemporanea che unisce al tema dell’energia una forma di responsabilità sociale di impresa tradotta nel sostegno concreto alla produzione artistica contemporanea. Allo stesso modo l’incontro tra istituzioni e arte contemporanea dà vita a progetti urbani nati come piattaforme sostenibili e capaci di diventare un punto di riferimento nel panorama cittadino. Citiamo, gli altri, il PAV (Parco di Arte Vivente) di Torino, che si definisce come “uno spazio pubblico in una città in trasformazione”, un sito espositivo all’aria aperta, un luogo di incontro incentrato sul dialogo tra arte contemporanea e natura, biotecnologie e sostenibilità, pubblico e artisti.

In poche righe abbiamo cercato di evidenziare alcuni punti su di una mappa complessa e in continua evoluzione. L’arte è da sempre una delle possibili vie per guardare lontano e rappresenta un punto di vista privilegiato per riflettere sui rapporti tra l’individuo, la società e la natura. E che cos’è la sostenibilità se non il dialogo costante tra questi tre elementi in bilico tra presente e futuro? Tre elementi primari sui quali muovere la libera creatività artistica e la ricerca estetica del design in nome di un percorso etico, condiviso e globale.