In una società economicamente orientata verso i servizi, risorse come territorio, materiali ed energia hanno spesso un valore limitato. Malgrado ciò rame, alluminio, terre rare, polimeri, etc., costituiscono ancora elementi essenziali per il vivere quotidiano: le attività antropiche infatti richiedono ingenti risorse naturali. In quest’ottica, nelle città si producono grandi quantità di risorse secondarie (rifiuti) utilizzabili per la produzione di materie prime e, nello stesso tempo, le città hanno bisogno di energia. L’accoppiamento della filiera rifiuti con quella energetica potrebbe costituire un nuovo modo di intendere il processo di industrializzazione, più virtuoso e sostenibile. Considerata inoltre la variabilità dei prezzi, la poca disponibilità e gli alti costi ambientali di molte materie prime, diventa doveroso utilizzare risorse già disponibili sul territorio. Il termine che oggi codifica questo nuovo approccio è di origine anglosassone: Urban Mining. Il concetto è abbastanza chiaro, un tentativo di chiudere i processi produttivi, ma non lo sono le modalità operative. Se alcuni, infatti, considerano come miniere le discariche (urban miner sono coloro che vanno a cercare metalli tra i rifiuti), altri considerano l’insieme dei processi di trattamento finalizzati al recupero di materie prime. In realtà, molti sono gli aspetti da considerare, pertanto l’unica interpretazione possibile riguarda la definizione di un “sistema” che faciliti il recupero ed il riciclaggio. In altre parole, il nuovo approccio avrebbe un vasto ambito di applicazione in quanto vedrebbe coinvolti aspetti relativi all’informazione, alle politiche di gestione del territorio, alle tecnologie ed alla logistica.
Per ottimizzare il recupero delle materie prime è necessario conoscere le caratteristiche del rifiuto ovvero la quantità di materia prima, la sua disponibilità, la sua locazione ed in che forma è presente. Con queste informazioni si può scegliere come intervenire per alimentare il metabolismo industriale con materiali riciclati. Ad esempio per il recupero di rame dai rifiuti elettronici (RAEE) è necessario conoscere in che forma è presente (metallo puro, lega o sale). Il rame può essere nei cavi ma anche nelle schede elettroniche (circa 300 kg/ton), può essere sulla superficie della scheda o all’interno. Se presente nei cavi necessita di un sistema fisico-meccanico (togliere la guaina in PVC) se invece è inglobato nelle schede si renderà necessario un processo chimico che potrebbe pregiudicarne la fattibilità economica. Il recupero ed il riciclaggio andrebbero pertanto programmati fin dalla definizione del processo produttivo considerando anche gli aspetti di gestione del territorio. La profonda conoscenza dei processi e delle tecnologie utilizzate negli ambiti produttivi presenti sul territorio rappresenta infatti un ulteriore elemento del sistema di riciclaggio (quello che per me è un rifiuto per te può essere una materia prima). Da qui la necessità di coinvolgere tutti gli stakeholder nella caratterizzazione e quantificazione dei flussi di materia e nella relativa definizione del “sistema” locale.
Particolare rilevanza assume, nel “sistema”, la prevenzione della produzione di rifiuti. Si dovrebbe intervenire sulla responsabilità sociale dei produttori sottoscrivendo leggi volte ad incentivare, ad esempio, la riduzione degli imballaggi e l’uso di materiali ma anche la sottoscrizione di accordi di collaborazione fra imprese, consumatori ed amministrazioni locali. Adottando un approccio che faciliti il ricorso al riciclaggio non bisogna sottovalutare il rischio, paradossale, di giustificazione del ricorso al consumismo per far crescere il PIL. Il modo migliore per trattare i rifiuti rimane sempre quello di non produrli.
Come si vede il percorso è lungo ed impegnativo e comporta un cambiamento radicale delle nostre abitudini quotidiane oltre che una presa di coscienza (sic!) da parte di chi amministra la cosa pubblica.
Anche l’UE si sta muovendo in questa direzione e potremmo dire che le Direttive in materia di RAEE già sono orientate in tal senso anche se, sempre in ambito UE, non sono state ancora ben definite le potenzialità generali del recupero da rifiuti. Esistono, infatti, molte differenze fra gli stati membri dell’UE soprattutto in termini di nuove tecnologie necessarie ad attivare sistemi di recupero. Esemplificativo il caso delle terre rare, sempre più necessarie allo sviluppo tecnologico ma sempre meno disponibili a causa delle limitazioni recentemente imposte alle esportazioni da parte dai paesi produttori (Cina soprattutto).