Intorno a mezzanotte (ora italiana) avrà luogo il voto del Senato USA sul Keystone XL, l’oleodotto che porterà il petrolio da sabbie bituminose dal Canada al Golfo del Messico
(Rinnovabili.it) – Manca un voto, un solo voto. Ma il tempo è quasi scaduto: Mary Landrieu, senatrice statunitense del Partito democratico, sta andando a caccia dell’ultimo collega favorevole all’approvazione del Keystone XL. È questo il nome dell’oleodotto deputato al trasporto di 800 mila barili al giorno di petrolio estratto dalle sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada, fino al Golfo del Messico. La Camera ha già votato favorevolmente venerdì scorso, con una larga maggioranza (252 contro 161) che ha deciso di dare il via libera alla proposta. Ora manca il Senato: c’è bisogno di 60 voti far passare la proposta nelle prossime ore evitando l’ostruzionismo, ma per adesso i sì sono fermi a 59.
Da sei anni il progetto langue in Parlamento, ancora in attesa di un’approvazione. Un iter lunghissimo, che sta arrivando a conclusione, con un codazzo di polemiche e proteste che fa salire la questione all’attenzione dei media internazionali.
La totalità dei repubblicani e una parte dei democratici è favorevole al Keystone, che attende la decisione finale del dipartimento di Stato e del presidente Obama, senza l’ok del quale l’oleodotto non può varcare i confini americani. Il Congresso resterà a maggioranza democratica ancora fino a gennaio, ma i repubblicani sono convinti che basti il via libera delle due camere per obbligare il Presidente a mettere la firma sul progetto. Obama non gradisce questa interferenza, né la pressione avversaria dopo la sconfitta alle elezioni di midterm. Ha detto che il Keystone XL sarà approvato solo se non presenta un significativo impatto ambientale, ed ora si trova nella difficile situazione in cui deve decidere se esercitare il potere di veto. Così facendo, farebbe un immenso piacere ai gruppi ambientalisti, che altrimenti verrebbero delusi dopo una lunga e accesa battaglia contro la gigantesca pipeline. Se Obama però non firma, a gennaio il tema tornerà in auge, ma stavolta con un Congresso a maggioranza repubblicana. Se quest’ultima arrivasse ai due terzi, gli avversari del Presidente potrebbero aggirarne il veto.
Per ora, tuttavia, Obama resta contrario: l’impatto ambientale sarà l’elemento di valutazione principale per l’inquilino della Casa Bianca, che ha ribadito: «Non è vero che la costruzione del Keystone XL porterà posti di lavoro, né che avrà un impatto sul prezzo del carburante. Si tratta di dare la possibilità al Canada di pompare petrolio, mandarlo da noi, giù fino al Golfo e poi venderlo a tutto il mondo. Sarebbe meglio impegnarci in un dibattito su come produrre energia in casa».
Forse Obama perderà la sua battaglia, prima o dopo gennaio, ma grazie all’accordo con la Cina e alle promesse di finanziamento del Green Climate Found, ha preparato il terreno per cadere sul morbido. Inoltre, avrà dimostrato agli ambientalisti di saper mantenere la parola. Associazioni, comitati e comunità contrarie al Keystone XL sono preoccupati per le emissioni legate alle procedure di estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose, ma non solo. Anche l’infrastruttura stessa genera perplessità, in quanto si presenta come un serpente di metallo che dovrebbe segnare la superficie di due nazioni come una cicatrice.
Alcuni gruppi indiani, che saranno direttamente colpiti dall’oleodotto, si sono recati a Washington per dimostrare la loro contrarietà. La tribù Sioux del Sud Dakota si trova proprio sulla linea di passaggio della pipeline: i suoi rappresentanti hanno definito l’approvazione del progetto «un atto di guerra contro la nostra gente». Il presidente della tribù, Cyril Scott, ha risposto a chi gli chiedeva se stesse dichiarando guerra al governo americano: «Sì, l’ho fatto. Ho giurato sulla mia vita di impedire a queste persone di mettere in pericolo i nostri bambini, i ragazzi e il nostro modo di vivere. Non passeranno su queste terre, abbiamo troppo da perdere per permetterglielo. Qui non si tratta di capire se l’oleodotto inquinerà le falde acquifere di Ogalala, ma quando. E se voi contaminate le falde noi non possiamo bere, non possiamo crescere il grano. Dove andremo a prendere l’acqua, al Congresso?».