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Sostituire i PFAS con composti a catena più corta non è sostenibile

L’idea che per sostituire i PFAS più dannosi basti utilizzare composti con meno atomi di carbonio rischia di essere peggiore del problema

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Via depositphotos.com

Uno studio dell’American Chemical Society dimostra che i PFAA a catena corta e ultracorta non dovrebbero sostituire i PFAS

(Rinnovabili.it) – Come sostituire i PFAS? La domanda alberga nelle teste di industria e ricercatori da tempo, viste le continue evidenze dell’impatto di queste sostanze sull’ambiente e sulla salute. Ma le risposte trovate finora potrebbero non essere affatto quelle corrette.

Le imprese si stanno orientando verso composti a catena più corta, ritenuti meno dannosi. Ma si sbagliano, secondo uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology da scienziati dell’American Chemical Society. Il loro paper riporta che i livelli di queste sostanze sostitutive nelle case e negli organismi umani sono simili o superiori a quelli dei PFAS “di prima generazione”.

Sebbene questi siano oggi molto diffusi nei beni di consumo, compresi gli imballaggi alimentari, alcuni governi stanno iniziando a regolamentarne l’uso. I più comuni sono chiamati PFOS e PFOA: ciascuno è costituito da catene lunghe otto atomi di carbonio e sono considerati acidi perfluoroalchilici (PFAA)

Se la toppa è peggio del buco

Il problema è che si ritiene che i PFAA “a catena corta”, cioè con meno di otto atomi di carbonio, e quelli “a catena ultracorta” (solo due o tre atomi di carbonio) siano idonei sostituti di PFOS e PFOA. 

Non è così. E prima questa informazione si traduce in norme vincolanti, meglio è per la salute di tutti. Recenti ricerche hanno dimostrato infatti che le piccole dimensioni delle molecole facilitano il loro spostamento attraverso le riserve idriche, e test in vitro e in vivo hanno suggerito che potrebbero essere più tossici dei composti più lunghi.

Per questo l’American Chemical Society ha svolto una ricerca con l’obiettivo di osservare la loro diffusione negli ambienti domestici e nei corpi delle persone. Sono stati raccolti oltre 300 campioni di polvere, acqua potabile, siero e urina da 81 persone e dalle loro case negli Stati Uniti. I campioni sono stati analizzati per 47 diversi PFAA e loro precursori. Di questi composti fluorurati, ne sono stati rilevati 39, compresi i composti a catena corta e ultracorta.

La conclusione è che servano ulteriori indagini per comprenderne l’impatto sanitario. Ma se il principio di precauzione avesse un valore negli Stati Uniti, questo sarebbe un buon momento per usarlo.