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Servono norme chiare contro il greenwashing

La direttiva UE contro il greenwashing andrà a colmare un vuoto in Italia, dove non esiste una vera legge contro l’ambientalismo di facciata

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Dopo 36 anni dalla nascita del termine greenwashing, arriva la prima legge europea

(Rinnovabili.it) – Dagli anni Ottanta ad oggi, il greenwashing di strada ne ha fatta. Il termine è nato per prendere di mira quelle catene di alberghi che chiedevano di riutilizzare gli asciugamani per rispetto dell’ambiente. In realtà, non era per ragioni ecologiste, ma per contenere le spese.

Da quel tentativo quasi innocente, però, il greenwashing è diventato una pratica strutturale dell’economia contemporanea, che rallenta la transizione ecologica e confonde i consumatori nei loro acquisti. Etichette fuorvianti ci fanno sentire a posto con la coscienza, ma là fuori il mondo continua la sua corsa verso il baratro. 

Con i suoi tempi, l’Unione Europea sta per varare una direttiva contro le pratiche di greenwashing. La nuova normativa dovrebbe tutelare i consumatori contro le pratiche di obsolescenza programmata dei prodotti, ma anche regolamentare il “far west” delle etichettature e definizioni fuorvianti sulla tutela dell’ambiente e del clima.

E in Italia? Il punto sul nostro paese lo ha fatto il nuovo Rapporto Greenwashing 2023, presentato oggi a Circonomìa, il Festival dell’economia circolare e della transizione ecologica. Il dossier esamina le misure attive in Italia e nel mondo per contrastare le pubblicità e le aziende che si fregiano del “green” in maniera spregiudicata. Tra le pratiche più comuni legate al Greenwashing possono essere citate: una comunicazione scorretta, reticente ed omissiva, per merito di un linguaggio vago; l’abuso di slogan volutamente “green” con ambientazioni bucoliche; la mistificazione delle performances ambientali. 

Italia senza norme sul greenwashing

Da noi la direttiva europea proposta a marzo andrebbe a colmare un vuoto, perché non esiste una vera e propria norma che regoli e persegua le pratiche scorrette. L’Autorità garante del mercato e della concorrenza ha comminato multe anche ad aziende molto note per pubblicità ingannevole, ma la pratica del greenwashing non è codificata.

In Francia, invece, è stata vietata la pubblicità relativa alla commercializzazione o promozione dei combustibili fossili e c’è l’obbligo di indicare, all’interno degli annunci pubblicitari, l’impatto climatico dei prodotti. Qualcosa di simile esiste anche in Gran Bretagna, dove è in vigore il “Green Claims Code”. Anche qui le aziende devono comunicare le proprie credenziali ecologiche.

“Tutti vogliono presentarsi come sostenibili, ma è importante farlo in maniera corretta – ha spiegato Francesco Ferrante, Vicepresidente del Kyoto Club – Secondo un’indagine di Eurobarometro si contano oltre 200 esempi di brand che fanno greenwashing, creando confusione nel consumatore. La proposta di direttiva sui ‘green claims’ che è stata presentata dalla Commissione europea a marzo ha una valenza di enorme portata, soprattutto in ambito economico”.

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