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Quasi tutta l’area speciale dell’incidente nucleare di Fukushima è ancora contaminata

A 10 anni dal disastro Greenpeace pubblica due rapporti in cui si mette in evidenza come “la tabella di marcia per lo smantellamento della centrale sia irrealizzabile” e che “serve un nuovo Piano”. Secondo l'associazione “i governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni hanno cercato di ingannare il popolo giapponese, mistificando l'efficacia del programma di decontaminazione e ignorando i rischi radiologici”

incidente nucleare di fukushima
Credits: IAEA Imagebank (CC BY-SA 2.0)

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) . “E’ ancora contaminato l’85% dell’area speciale di decontaminazione”. Questo il pensiero di Greenpeace a quasi 10 anni di distanza dall’incidente nucleare di Fukushima Daiichi, in Giappone. L’associazione ambientalista pubblica oggi due rapporti (‘Fukushima 2011-2020‘ e ‘Decommissioning of the Fukushima Daiichi nuclear power station from plan-A to plan-B now, from plan-B to plan-C) in cui viene messa in evidenza “la complessa eredità del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo 2011”, facendo presente che “la tabella di marcia per lo smantellamento della centrale di Fukushima Daiichi è irrealizzabile” che “serve un nuovo Piano”.

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“I governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni, soprattutto quelli guidati dal primo ministro Shinzo Abe – commenta Shaun Burnie, senior nuclear specialist di Greenpeace East Asia – hanno cercato di ingannare il popolo giapponese, mistificando l’efficacia del programma di decontaminazione e ignorando i rischi radiologici. Il decennio di inganni da parte del governo e della Tepco deve finire. Un nuovo piano di smantellamento è inevitabile, non possiamo perdere altro tempo”.

Il primo rapporto descrive “i livelli di radiazione nelle città di Iitate e Namie, nella prefettura di Fukushima. I risultati delle prime indagini mostrano che gli sforzi di decontaminazione sono stati limitati e che l’85% dell’area speciale di decontaminazione è ancora contaminata”. Il secondo documento “analizza l’attuale Piano ufficiale di smantellamento in 30-40 anni”, e lo definisce “un programma deludente e senza prospettive di successo”.

Gli esperti di Greenpeace negli ultimi 10 anni hanno condotto 32 indagini sulle conseguenze radiologiche del disastro, l’ultima nel novembre 2020. I risultati dei rapporti su Fukushima dal 2011 al 2020 mostrano che “la maggior parte degli 840 chilometri quadrati della Special Decontamination Area (SDA), per cui il governo è responsabile della decontaminazione, rimane contaminata da cesio radioattivo. E’ indefinito il quadro temporale entro cui il livello obiettivo di decontaminazione a lungo termine del governo giapponese sarà raggiunto in molte aree. I cittadini saranno comunque esposti per decenni a radiazioni superiori al massimo raccomandato”.

Inoltre, “non ci sono piani credibili per il recupero delle centinaia di tonnellate di detriti di combustibile nucleare che rimangono all’interno e sotto i tre contenitori a pressione del reattore; la contaminazione dell’acqua usata per il raffreddamento dei reattori, delle acque sotterranee e di quelle successivamente accumulate nei serbatoi, continuerà ad aumentare nel futuro, a meno che non si adotti un nuovo approccio. Tutto il materiale nucleare contaminato dovrebbe rimanere sul sito a tempo indeterminato. Se i detriti di combustibile nucleare verranno recuperati, anch’essi dovrebbero rimanere sul posto. Fukushima Daiichi è già e dovrebbe rimanere un sito di stoccaggio di rifiuti nucleari a lungo termine”.

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Infine il pezzo che guarda avanti: “Il piano attuale è irraggiungibile nell’arco di tempo di 30-40 anni definito dall’attuale tabella di marcia. È impossibile da realizzare se l’obiettivo è il ritorno allo status di greenfield”. Per questo Greenpeace raccomanda “un fondamentale ripensamento nell’approccio e un nuovo piano per lo smantellamento del sito di Fukushima Daiichi, inclusa una revisione dei tempi di rimozione del combustibile fuso a 50-100 anni o più, con la costruzione di edifici di contenimento sicuri per il lungo termine”.