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Piattaforme petrolifere offshore: la crisi del petrolio è un pericolo per la sicurezza

La pratica della perforazione in acque profonde è molto diffusa al largo del Golfo del Messico, dove si contano circa 1900 piattaforme petrolifere da cui provengono il 17% del greggio e il 5% del gas statunitensi.

Con l’amministrazione Trump sono diminuiti i controlli sulle piattaforme petrolifere offshore

(Rinnovabili.it) – Esattamente 10 anni fa, il 20 aprile 2010, una delle più grandi piattaforme petrolifere offshore in territorio americano, la Deepwater Horizon, esplodeva nelle acque del Golfo del Messico. Il risultato furono 11 morti e il più grande disastro ambientale nella storia dell’umanità. Lasciando aperto un pozzo di petrolio a circa 1500 metri di profondità, oltre 5 milioni di barili di petrolio grezzo si sono riversati nei mari della Florida, coprendo un’area stimata di 149.000 km2.

Nonostante la supervisione delle piattaforme petrolifere offshore e delle operazioni di trivellazione sia aumentata nel corso degli anni, la crisi petrolifera di questi mesi potrebbe rappresentare un grande rischio per ulteriori disastri. Difatti, il calo dei prezzi del petrolio si traduce in una riduzione del personale sulle piattaforme petrolifere, comportando in una drastica diminuzione dell’attività di monitoraggio.

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La pratica della perforazione in acque profonde rimane ancora molto diffusa al largo delle coste degli Stati Uniti. Alaska, California ma soprattutto il Golfo del Messico sono le aree più interessate, con quest’ultimo che conta quasi 1900 piattaforme petrolifere offshore disseminate nelle acque della Florida, dell’Alabama, del Mississippi, della Louisiana e del Texas. In totale, circa il 17% del greggio e il 5% del gas statunitensi provengono da questa enorme area marina, la cui produttività è in costante aumento grazie ai progressi tecnologici. Tutt’oggi, le perforazioni offshore sono infatti considerate il modo più redditizio di garantire l’indipendenza energetica degli USA.

Nonostante ciò, negli ultimi anni la perforazione in acque profonde ha perso parte del suo splendore, mentre nuove tecniche per il fracking idraulico hanno guadagnato terreno. Ciò è dovuto anche, se non soprattutto, ad una regolamentazione più severa imposta dopo il disastro della Deepwater Horizon.

Nel 2011 l’amministrazione Obama ha creato il Bureau of Safety and Environmental Enforcement (BSEE), al fine di migliorare la sicurezza e garantire la protezione dell’ambiente nel settore dell’energia offshore. La strategia più efficace, però, è stata quella di separare le attività del BSEE da quelle relative alla promozione dell’industria petrolifera. Si trattava, infatti, di due missioni spesso contrastanti, che fino al 2011 erano state gestite da un’unica agenzia, il Minerals Management Service (MMS).

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L’istituzione del BSEE ha fatto in modo che le grandi compagnie petrolifere dovessero fornire maggiori garanzie sulla corretta gestione dei rischi legati alla perforazione offshore. “Tutte le altre società hanno imparato molto dalla brutta esperienza di Deepwater Horizon e hanno migliorato le loro operazioni sviluppando maggiori precauzioni, ha affermato Donald Boesch, professore di Scienze marine all’Università del Maryland che ha prestato servizio nella commissione istituita da Obama per indagare sulle cause dell’incidente.

Tuttavia, alcune cose sono cambiate con l’amministrazione Trump, la cui filosofia è da sempre stata quella di sostenere la crescita della produzione di petrolio made in USA attraverso la deregolamentazione. Non a caso, nel 2018 la Casa Bianca ha annunciato di voler aprire quasi tutte le acque costiere americane alla trivellazione di petrolio e gas. “Invece di trarre insegnamenti dal disastro, il presidente Trump sta proponendo di espandere radicalmente le piattaforme petrolifere offshore”, ha sottolineato Diane Hoskins, direttrice di Oceana, ong che lavora sulla conservazione degli oceani.

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Secondo un report di Oceana, un nuovo disastro simile alla Deepwater Horizon è oggi molto più probabile di quanto non fosse 10 anni fa. Infatti, la sicurezza delle piattaforme petrolifere e il controllo governativo “non sono migliorati”, soprattutto in un momento in cui la crisi del settore petrolifero aggrava lo stress finanziario delle aziende, costrette a ridurre i costi riducendo il numero dei loro dipendenti e le azioni di manutenzione e supervisione.