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Morti da inquinamento, l’ONU chiede un bando globale sugli PFAS

Un rapporto dello special rapporteur dell’Onu per i diritti umani e l’ambiente, David Boyd, chiede azioni immediate e urgenti per invertire la rotta sull’inquinamento. Una piaga molto sottovalutata, ma che fa 3 volte i morti del Covid. Lotta ai forever chemicals e ripristino delle “zone di sacrificio” le priorità

Morti da inquinamento: rapporto ONU, sono 9 milioni l’anno
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Solo la pessima qualità dell’aria causa almeno 7 mln di morti da inquinamento l’anno

(Rinnovabili.it) – Il mondo deve mettere immediatamente al bando i “forever chemicals” e scrivere la parola fine sul capitolo dell’inquinamento da PFAS. Ma servono azioni urgenti anche sugli altri tipi di inquinamento. Quelli generati da pesticidi, plastica e rifiuti elettronici causano almeno 9 milioni di morti da inquinamento premature ogni anno. Una piaga tre volte più pesante del Covid, che finora ha provocato poco meno di 6 milioni di decessi in 2 anni.

Lo scrive lo special rapporteur delle Nazioni Unite per i diritti umani e l’ambiente David Boyd in un dossier che sarà discusso in sede Onu a marzo. Un tassello nell’implementazione del diritto a vivere in un ambiente sano, che è stato riconosciuto dal Palazzo di Vetro nel novero dei diritti umani fondamentali.

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Le morti da inquinamento sono più del 15% del totale dei decessi nel mondo, calcola il rapporto. In confronto, le morti causate da eventi violenti come guerre o disordini sociali sono 15 volte di meno. Ma finiscono molto più spesso sotto i riflettori. Il singolo fattore che contribuisce di più a queste statistiche è la pessima qualità dell’aria, che secondo le nuove stime dello special rapporteur David Boyd causa 7 milioni di morti da inquinamento atmosferico premature ogni anno. Soprattutto in paesi a basso e medio reddito, dove avviene il 90% dei decessi.

Il mondo quindi deve passare all’azione. Boyd chiede un bando globale contro le sostanze per- e polifluoroalchiliche, i cosiddetti PFAS. La loro proliferazione interseca e aumenta altri danni all’ambiente e al clima, come il cambiamento climatico e la perdita di diversità biologica. “L’industria chimica aggrava l’emergenza climatica consumando più del 10% dei combustibili fossili prodotti a livello globale ed emettendo annualmente circa 3,3 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra”, scrive lo special rapporteur, ricordando che queste sostanze sono uno dei 5 driver principali del “declino catastrofico della biodiversità, con impatti particolarmente negativi su impollinatori, insetti, ecosistemi di acqua dolce e marini (comprese le barriere coralline) e popolazioni di uccelli”.

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Altra azione caldeggiata nel rapporto è la ripulitura delle cosiddette “zone di sacrificio”, siti particolarmente inquinati spesso abitati da comunità marginalizzate o native. Laddove il ripristino dell’ambiente non sia possibile, per i casi più estremi, Boyd suggerisce l’ipotesi di ricollocare altrove gli abitanti.  “Quello che spero di fare raccontando queste storie di zone di sacrificio è di mettere davvero un volto umano su queste statistiche altrimenti inspiegabili e incomprensibili” sulle morti da inquinamento, ha spiegato Boyd in un’intervista a Reuters.