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Il miglior sistema per la depurazione delle acque reflue? Le pulci d’acqua

Nessun sistema al mondo è migliore di questi piccoli crostacei nella depurazione delle acque reflue, specialmente nel trattare PFOS e pesticidi

depurazione delle acque reflue
Via depositphotos.com

Utilizzate da un esperimento dell’Università di Birmingham, hanno dimostrato impressionanti capacità di depurazione delle acque reflue

(Rinnovabili.it) – Protagonista di una famosa canzone di Branduardi, la pulce d’acqua potrebbe avere un ruolo importante anche nella depurazione delle acque reflue. Secondo una ricerca dell’Università di Birmingham, infatti, sono in grado di filtrare pesticidi, farmaci e sostanze chimiche.

Infatti, gli impianti di trattamento e depurazione delle acque reflue oggi non rimuovono tutti i contaminanti. Anzi. Molti sfuggono ai filtri dei depuratori, e tornano nell’ambiente. A risentirne siamo noi, per via del fatto che tramite l’irrigazione e altre vie, queste sostanze entrano nella catena alimentare.

Aspirapolvere biologico

Ed è qui che potrebbe entrare in gioco la pulce d’acqua. Gli individui del genere Daphnia utilizzati nella ricerca britannica non sono propriamente pulci, ma un gruppo di oltre 450 specie di minuscoli crostacei che filtrano il cibo, ingerendo eventuali piccole particelle di detriti, alghe o batteri nel processo. Visto che sono così “di bocca buona”, i ricercatori hanno pensato che avrebbero potuto ingerire anche qualcosa di peggio, come sostanze chimiche tossiche.

Hanno così selezionato quattro tipi di pulci d’acqua che consumano alcuni degli inquinanti che preoccupano maggiormente gli operatori sanitari: il composto farmaceutico diclofenac, il pesticida atrazina, il metallo pesante arsenico e il prodotto chimico industriale PFOS, spesso utilizzato per rendere impermeabili i vestiti. I piccoli animaletti hanno svolto perfettamente questo ruolo di filtro naturale, tanto da essere paragonati a “un bioequivalente di un aspirapolvere Dyson” per le acque reflue.

Pulci novecentesche

Per selezionare le pulci più adatte al compito, il team ha utilizzato alcuni embrioni dormienti recuperati sul fondo dei fiumi. Questi avrebbero potuto rimanere là per decenni o secoli, in attesa delle condizioni migliori per schiudersi. La ricercatrice Luisa Orsini ha “risvegliato” embrioni che si erano depositati in periodi in cui le sostanze inquinanti erano più diffuse, e che quindi potevano avere sviluppato una maggiore capacità di gestione grazie all’adattamento. Al contempo, ne ha selezionate di “ingenue”, cioè originarie di periodi in cui i contaminanti erano assenti. come nel 1900.

Di qui è stata poi testata la capacità di sopravvivenza e di aspirazione in ambiente controllato. Sono stati utilizzati prima un acquario da 100 litri, poi uno da duemila. Le pulci d’acqua sono state in grado di assorbire il 90% del diclofenac, il 60% dell’arsenico, il 59% dell’atrazina e il 50% del PFOS. Quest’ultima, in particolare, è una caratteristica che nessun altro sistema al mondo possiede. Oltretutto, le pulci sono autosufficienti perché si riproducono mediante clonazione e si autoregolano, crescendo o diminuendo la popolazione a seconda dei nutrienti disponibili.

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