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Cosa succede a Fukushima 10 anni dopo il disastro nucleare

Ritardi cronici nel decommissioning. Il governo permette alla popolazione di tornare ma le radiazioni fanno ancora paura. L’Onu rassicura, Greenpeace chiede un nuovo piano per la decontaminazione

Fukushima: 10 anni fa lo tsunami e il disastro nucleare
credits: JesseKruger via Flickr | CC BY-NC 2.0

Oggi l’anniversario del meltdown agli impianti di Fukushima del 2011

(Rinnovabili.it) – Ore 14:46 dell’11 marzo, il Giappone si ferma. Un minuto di silenzio nel decimo anniversario del disastro nucleare di Fukushima. Nel 2011 avvenne il triplo meltdown degli impianti della centrale di Dai-chi, gestita dalla Tepco. L’incidente fu causato da uno tsunami che travolse la costa giapponese, a sua volta originato da un terremoto di magnitudo 9 sulla scala Richter.

Fukushima volta pagina?

Yoshihide Suga ha visitato Fukushima sabato scorso. Il neo premier giapponese ha provato a lanciare un messaggio di speranza ai suoi concittadini. “Restiamo sulla buona strada per revocare l’ordine di evacuazione”, ha assicurato. “Stiamo lavorando per creare un ambiente che consenta a coloro che sono fuggiti in altre aree di tornare”. Il governo di Tokyo ha provato per anni a tranquillizzare la popolazione riguardo alle radiazioni. A parte l’area a ridosso della centrale il resto è sicuro: questa la linea dell’esecutivo, che nel tempo ha iniziato a togliere gli ordini di evacuazione.

Su questo punto Suga può contare sul fresco appoggio dell’Onu. Un rapporto rilasciato il 9 marzo sostiene che non sono stati documentati “effetti nocivi sulla salute”, tra i residenti di Fukushima, direttamente collegati alle radiazioni del disastro. Inoltre, qualsiasi futuro effetto sulla salute correlato alle radiazioni è “improbabile che sia distinguibile”, aggiunge il documento. Molti degli sfollati però continuano a non fidarsi. Sono oltre mezzo milione le persone che hanno abbandonato le loro case 10 anni fa a causa del triplo disastro: terremoto, maremoto e meltdown nucleare. Di queste sono 150mila gli sfollati causati dal disastro all’impianto.

E non solo i residenti della prefettura giapponese continuano a restare diffidenti. Il tema dell’impatto delle radiazioni è profondamente controverso. Negli anni, Greenpeace ha portato avanti diverse campagne sul tema. Dalle rilevazioni degli attivisti, molte delle aree che il governo ormai considera sicure risulterebbero ancora contaminate. I livelli di radiazioni rilevati sarebbero superiori ai limiti fissati dal governo per considerare decontaminata e sicura l’area.

Work in progress

Suga ha poi esteso fino al 2031 l’operato dell’Agenzia per la ricostruzione che è stata istituita apposta per riedificare l’area contaminata. Finora queste operazioni hanno drenato 232 miliardi di euro dalle casse statali. Ma il punto che resta al centro delle controversie politiche è quello dei ritardi cronici nel decommissioning degli impianti. E delle difficoltà del processo.

Ancora Greenpeace fornisce un quadro a tinte fosche in due rapporti pubblicati nelle ultime settimane. L’ong evidenzia che “la tabella di marcia per lo smantellamento della centrale è irrealizzabile” e che “serve un nuovo Piano”. Secondo l’associazione “i governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni hanno cercato di ingannare il popolo giapponese, mistificando l’efficacia del programma di decontaminazione e ignorando i rischi radiologici”. E ancora: circa l’85% dell’area speciale è ancora contaminata, dato che smentirebbe la posizione del governo.

Sui tempi Greenpeace sostiene che il piano di Tokyo sia completamente inadeguato: impossibile pensare di chiudere davvero il capitolo in appena 30-40 anni. Finora, in effetti, la Tepco ha incontrato solo problemi e ritardi. Poche settimane fa ha annunciato di aver ultimato la rimozione del corium – il combustibile nucleare fuso – dal reattore n.3 di Fukushima. Una buona notizia, ma i lavori sono iniziati solo nel 2019 con 5 anni di ritardo.

La Tepco mira a finire di estrarre tutti i gruppi di combustibile dagli altri reattori entro la fine del 2031. I lavori al reattore 4 sono stati ultimati nel 2014. Mancano ancora il reattore 1, dove sono sparsi molti detriti nucleari, e il numero 2, dove i livelli di radiazione sono particolarmente alti e quindi le operazioni potrebbero rivelarsi ostiche. Secondo moltissimi osservatori questa tabella di marcia è irrealizzabile. Tra le criticità più pressanti, il destino del milione di tonnellate di acqua contaminata usata per il raffreddamento dei noccioli fusi. Per ora sono stoccate in cisterne a ridosso degli impianti, ma il governo sta valutando di rilasciare l’acqua nell’oceano dopo un trattamento. Che eliminerebbe alcuni – ma non tutti – gli elementi radioattivi, fatto che solleva l’opposizione di ecologisti e dell’industria ittica.

In Giappone il futuro è ancora nucleare

Il disastro di Fukushima non ha fermato il nucleare nel paese. Alcuni impianti sono tornati presto in funzione dopo uno stop generale cautelativo subito dopo l’incidente. Attualmente sono 9 i reattori giapponesi di nuovo in funzione dopo il disastro, altri 6 hanno già passato la revisione e possono essere rimessi in funzione (2 a Kashiwazaki Kariwa, 1 a Mihama, Takahama e Tokai Daini). Infine, 12 reattori sono ancora in revisione.

E il governo ha tutta l’intenzione di riaccenderli visto che punta sull’atomo per alimentare la sua corsa verso la neutralità climatica, promessa entro il 2050. A marzo 2019 il mix elettrico giapponese era ancora ben distante dagli obiettivi fissati lo scorso dicembre per il prossimo decennio: le fossili erano al 77%, le rinnovabili al 17% e il nucleare al 6%. Nel nuovo piano mancano i dettagli per l’energia dall’atomo, ma Suga ha fatto sapere che intende riservargli uno spazio più ampio. Nel vecchio piano del 2018, il nucleare avrebbe dovuto coprire nel 2030 il 20-22% del mix. Praticamente lo stesso ruolo riservato alle rinnovabili.

I giapponesi pare la pensino diversamente. Secondo un sondaggio pubblicato il mese scorso dal quotidiano nipponico Asahi Shimbun, più della metà della popolazione (il 53%) non vuole il riavvio dei reattori. Un terzo invece si dichiara a favore (32%), percentuale che cala al 16% tra gli abitanti di Fukushima.