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Diga Samarco, la BHP riparte 5 anni dopo il disastro ambientale

Il Brasile ha cambiato le leggi per mettere in sicurezza le operazioni estrattive. Ma le regole più stringenti non sono ancora in vigore. Intanto il paese ha dato tutte le licenze necessarie a BHP e Vale

Diga Samarco
credits: Marcelo Marcelinho da Pixabay

Il collasso della diga Samarco aveva causato 19 morti e rilasciato 62 mln di t di fanghi velenosi

(Rinnovabili.it) – La BHP ha annunciato che sono ripartite le attività di estrazione di materiali ferrosi presso la città brasiliana di Mariana. Ad appena 5 anni dal peggiore disastro ambientale della storia del paese sudamericano, il collasso della diga Samarco che ha travolto la cittadina, ucciso decine di persone e sconvolto gli ecosistemi della regione con un’inondazione di residui tossici delle miniere.

La vigilia di Natale, la BHP ha reso pubblico di aver ottenuto tutte le licenze e i permessi mancanti e di aver già riavviato le sue operazioni presso il sito. Tra i requisiti, la Samarco, joint venture tra BHP e la brasiliana Vale, ha dovuto sottoporsi anche ad una verifica indipendente. I livelli produttivi resteranno a circa ¼ di quelli pre-disastro, quindi circa 7-8 milioni di tonnellate l’anno di pellet di ferro.

I siti sono davvero sicuri? C’è chi ne dubita. Il Brasile ha effettivamente rafforzato la legislazione in materia. Sono in vigore il divieto di costruire nuove dighe se vi sono comunità stanziate entro 10 km, quello di servirsi di dighe già esistenti a monte, ed è prevista una multa fino a 185 mln di dollari. Ma la data per mettere in regola l’esistente continua a slittare: prima doveva essere il 2021, poi è stato posticipato al 2025 o 2027 a seconda delle dimensioni del sito. Per ora tutto può proseguire come prima, quindi.

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Il disastro ambientale era stato causato dal crollo della diga Samarco, seguito dal collasso di una seconda infrastruttura. Entrambe le dighe di contenimento hanno riversato nel Rio Doce circa 60 milioni di metri cubi di residui tossici, resti di lavorazione dell’attività estrattiva. Le dense acque color arancione hanno proseguito la loro corsa fino all’oceano, contaminando al loro passaggio ecosistemi terrestri, acquatici e marini per un raggio di 500 km nel sud-est del Brasile.

Dopo anni di tentennamenti da parte della giustizia, con le autorità federali del Brasile che si sono affrettate a cercare un compromesso con l’industria pur di far ripartire le operazioni, il disastro si  è ripetuto. Nel gennaio 2019 è toccato alla diga di Brumadinho, controllata da Vale, che spezzandosi ha rilasciato 12 mln di m3 di depositi fangosi e ha ucciso 270 persone.

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Allo stato attuale, nessun responsabile delle due aziende è stato condannato dalla giustizia brasiliana. Né i colossi industriali hanno ancora pagato multe, visto che quelle comminate dal tribunale sono rimaste in tribunale, dove Vale e BHP stanno protestando a suon di ricorsi. Le vittime dei disastri non sono state compensate in alcun modo.