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Deep sea mining: la Norvegia accelera sulle miniere a mare aperto

Conclusa la valutazione sulle risorse disponibili: oltre 21 mln di t di rame e 22 mln di t di zinco. Ma anche marganese, litio per le batterie degli EV e terre rare per l’industria tecnologica

Deep sea mining: la Norvegia accelera sulle miniere a mare aperto
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Oslo vuole assegnare le prime licenze di deep sea mining nel 2024

(Rinnovabili.it) – Rame e zinco in cima alla lista. Seguiti da altri metalli di cui c’è forte domanda per portare avanti la transizione energetica. Litio e terre rare. La Norvegia punta a sfruttare tutte le sue riserve per alimentare la supply chain delle batterie per i veicoli elettrici, delle turbine eoliche e dei pannelli solari. Tutte, anche quelle non convenzionali. Da estrarre con il deep sea mining.

Oslo starebbe infatti pensando di autorizzare l’estrazione di metalli dal fondo marino in acque profonde già a partire dal 2024. Lo ha rivelato il ministro del Petrolio e dell’Energia del paese scandinavo in un’intervista concessa all’agenzia Reuters.

Cos’è il deep sea mining

Il deep sea mining è una pratica ancora agli albori e molto controversa per i suoi possibili impatti sull’ambiente. Consiste nell’estrazione di metalli dai fondali marini, a profondità anche di 4-5mila metri. Prevede di raschiare il fondale e di risucchiare i materiali smossi attraverso delle tubature che li portano direttamente sulle navi in superficie.  Il fondo degli oceani, infatti, racchiude vere e proprie miniere ‘a mare aperto’. Spesso sotto forme non convenzionali.

Le risorse recuperabili si trovano principalmente sotto 3 forme. I più noti sono i noduli polimetallici: ammassi globulari dalla forma di patate, che si trovano in veri e propri campi tra i 4 e i 6 mila metri di profondità. Poi i solfuri polimetallici, reperibili nella fascia 2-4 mila metri, che sono grumi di oro, zinco, piombo, rame e terre rare distribuiti intorno alle crepe del sottosuolo. Infine le croste di cobalto, disposte in strati spessi fino a 25 centimetri che coprono i fianchi delle montagne sottomarine.

Sugli impatti ambientali del deep sea mining non c’è accordo. Esiste un’autorità internazionale, l’International seabed authority (ISA), ente intergovernativo costola delle Nazioni Unite nato nel 1994 sulla scorta della Convenzione sui diritti del mare (UNCLOS) del 1982. Che però si basa solo sui dati forniti dalle compagnie interessate allo sfruttamento di giacimenti e depositi sottomarini. E non ha mai accettato di renderli pubblici, così da poter avere anche un controllo indipendente sulle ragioni alla base delle autorizzazioni che ha già concesso (circa una trentina). Le preoccupazioni maggiori, sotto il profilo della sostenibilità di questa pratica, riguardano l’inquinamento acustico, luminoso, le vibrazioni e l’innalzamento di nubi di sedimenti causate dalle operazioni di raschiamento dei fondali. Alcuni studi ventilano la possibilità che tutto ciò possa mettere a repentaglio la tenuta degli ecosistemi e danneggiare fortemente la fauna marina.

Il tesoro norvegese

Un tesoro che la Norvegia ha deciso di quantificare con precisione. L’annuncio dell’avvio dello sfruttamento, infatti, segue una valutazione durata 3 anni sull’ammontare delle risorse accessibili con il deep sea mining nelle acque di pertinenza norvegese. Oslo ha trovato depositi in acque profonde contenenti soprattutto rame, zinco, cobalto, oro e argento.

In particolare, potrebbero esserci fino a 21,7 milioni di tonnellate di rame (più della produzione mondiale di rame nel 2019) e 22,7 milioni di tonnellate di zinco sulla piattaforma continentale norvegese, stimano i ricercatori della Norwegian University of Science and Technology. La maggior parte di questi metalli è sotto forma di solfuri polimetallici, che si formano quando l’acqua dell’oceano entra a contatto col magma che fuoriesce dalle fessure nel fondale oceanico. Rinvenute anche alte concentrazioni di litio e di scandio, una delle terre rare. I giacimenti sono collocati lungo la dorsale medio atlantica tra l’isola di Jan Mayen e l’arcipelago delle Svalbard nel Mare di Norvegia, fino a 700 km dalla costa.

Il governo sta procedendo con uno studio di impatto ambientale. I blocchi da assegnare dovrebbero essere decisi entro il 2022 e per la metà del 2023 si dovrebbe arrivare al voto del parlamento per autorizzare l’operazione, secondo la tabella di marcia proposta dall’esecutivo. Le licenze potrebbero iniziare a essere assegnate al più tardi a inizio 2024.