Tra limiti del riciclo, trattati globali e richieste dell’ambientalismo, ecco cosa si sta facendo nel mondo contro l’inquinamento da plastica
L’inquinamento da plastica è uno dei problemi più gravi del nostro tempo, ma non c’è accordo sulle soluzioni
(Rinnovabili.it) – Industria automobilistica, imballaggi alimentari, prodotti per l’igiene, capi di vestiario. Quasi tutto quello che ci circonda e che utilizziamo genera inquinamento da plastica. Il riciclo viene promosso come soluzione principale alla quella che possiamo chiamare una vera e propria crisi ambientale che sta travolgendo l’umanità. Nonostante tutti gli impegni a utilizzare più materiale riciclato, tuttavia, siamo molto lontani dalle soluzioni. Solo il 9% della plastica prodotta entra nella filiera del riciclo.
La ragione è che riciclare la plastica non è semplice. Molti polimeri non possono essere facilmente trasformati nei loro elementi costitutivi per alimentare un processo circolare. Di conseguenza, i prodotti della plastica vengono sovente bruciati, smaltiti in discarica o peggio nell’ambiente. La produzione di plastica nel frattempo è aumentata esponenzialmente negli ultimi decenni e ora ammonta a circa 400 milioni di tonnellate all’anno, una cifra destinata a raddoppiare entro il 2040. Contro questa pratica insostenibile si sono mobilitate forze politiche e aziende, attivisti e semplici cittadini.
La politica contro l’inquinamento da plastica
Il più importante processo politico in atto per contrastare l’inquinamento da plastica è il negoziato avviato dalle Nazioni Unite per un Trattato globale sulla plastica. A giugno i negoziatori di 175 paesi si sono incontrati a Parigi per discutere le misure vincolanti per aggredire il problema. Si discute di soluzioni che vanno dal taglio della produzione alla migliore gestione dei rifiuti. A novembre 2023 è attesa una prima bozza dell’accordo, che dovrà essere sufficientemente ambiziosa.
Inquietanti risultati dalle ricerche sulla plastica
I costituenti della plastica sono un segreto gelosamente custodito dalle imprese, che richiede trasparenza e investigazione per venire alla luce. Attualmente un team del National Renewable Energy Laboratory (NREL) degli Stati Uniti sta cercando di identificare gli additivi in oltre 20 materie plastiche di base. Altri ricercatori hanno identificato più di 10 mila sostanze chimiche che potrebbero essere state utilizzate nella produzione di plastica. Oltre a rendere difficile il riciclo, molte hanno un impatto sull’ambiente e sulla salute umana, perché possono fuoriuscire durante il ciclo di vita dei prodotti. Si tratta di sostanze classificate come interferenti endocrini, cancerogene e nocive per molte forme viventi.
Ricerche condotte sotto copertura in un impianto britannico di riciclo mostrano poi come le tecnologie oggi disponibili siano parecchio grossolane. In generale, il riciclo meccanico è meno inquinante del riciclo chimico, che però piace di più alle imprese. Anche nel primo caso, però, sussistono enormi problematiche. Il filtraggio negli impianti, infatti, è insufficiente, e le microplastiche prodotte dalla triturazione finiscono nell’ambiente. Il riciclo quindi potrebbe oggi rendere il problema della plastica ancora peggiore.
La società civile chiede un approccio radicale
Le organizzazioni che si battono contro l’inquinamento da plastica hanno varie proposte, ma in generale chiedono un approccio radicale al problema. Il WWF propone un divieto globale per la plastica monouso. Greenpeace propone di ridurre drasticamente la produzione e trovare modi per non usare più tutta questa plastica. La considera, infatti, “incompatibile con l’economia circolare”. Da un suo studio, emerge che la plastica riciclata contiene sostanze chimiche come ritardanti di fiamma, benzene e altri agenti cancerogeni in livelli più elevati della plastica vergine. Di qui, la proposta di superare questo materiale smettendo di produrlo il prima possibile.
La soluzione del riuso che non piace alle imprese
Sembra chiaro che non sarà possibile limitare l’inquinamento da plastica senza aggredire il settore dal lato della produzione. Con i livelli e la qualità del riciclo che abbiamo oggi, è difficile che il consumatore possa fare la differenza. Trasformare le filiere è dunque qualcosa di cui la politica si sta interessando. Ad esempio, la Commissione Europea sta portando avanti una proposta di Direttiva sugli imballaggi che prevede una forte spinta al riutilizzo. Progettare contenitori per il riuso e non per lo smaltimento è una grande sfida. Implica che intorno vengano cambiate le infrastrutture di distribuzione. E questo coinvolge supermercati, fast food, aziende di delivery… praticamente tutta un’economia che si è basata sull’usa e getta per decenni. Per questo la proposta incontra forti resistenze, che rischiano di indebolirla al punto da renderla inefficace. L’Italia stessa sta lavorando contro le disposizioni proposte. Ma l’impasse a cui siamo giunti e la posta in gioco ci raccontano di quanto insostenibile abbiamo reso la nostra società e la nostra economia. Senza una decisa inversione di rotta, andiamo incontro a tempi complessi.