Con il nuovo accordo sarà possibile la deforestazione delle selve secondarie e appiccare incendi in aree ad alto contenuto di carbonio. Così le multinazionali puntano a schiacciare i concorrenti più piccoli
(Rinnovabili.it) – Le multinazionali dell’olio di palma che operano in Indonesia hanno deciso di non rispettare l’accordo contro la deforestazione che avevano stretto con il governo nel 2014. Oltre a preservare le foreste tropicali del paese del sud-est asiatico, questo patto denominato Indonesia Palm Oil Pledge (IPOP) serviva anche a ridurre gli incendi causati dall’espansione della monocoltura su terreni ricchi di torba, e quindi a contenere l’inquinamento devastante che ammorba regolarmente la regione.
Dall’IPOP all’ISPO, cosa cambia per l’olio di palma
Al posto dell’IPOP arriva l’ISPO, sigla che sta per Indonesian Sustainable Palm Oil System. Tutte le principali multinazionali che avevano sottoscritto il primo – Wilmar International, Golden Agri Resources, Cargill, Asian Agri, Musim Mas e Astra Agro Lestari – adesso convergono sul secondo. Il perché è presto detto.
Le differenze tra i due accordi sono diverse e molto significative. L’IPOP era volontario, il nuovo ISPO invece è obbligatorio. Sembra un passo in avanti, invece alcuni indizi portano a pensarla diversamente. Primo indizio: il governo indonesiano ha avviato un’indagine sulle multinazionali accusate di fare cartello e quindi di operare di fatto in regime di monopolio. Secondo indizio: l’IPOP prevedeva alcuni requisiti stringenti – che andavano a vantaggio dell’ambiente – ma era quasi impossibile che le compagnie di olio di palma più piccole riuscissero a soddisfarli. Terzo indizio: questi requisiti erano addirittura più stringenti di quelli entrati in vigore con la recente legge a tutela delle foreste tropicali promossa dal governo dell’Indonesia.
Lo Stato impotente di fronte ai big dell’olio di palma
Il passaggio all’ISPO, allora, è una semplice mossa di mercato per evitare le sanzioni e continuare con la deforestazione e l’inquinamento esattamente come prima. Non solo: in questo modo i big del settore puntano a conquistare anche la rimanente fetta di mercato, che non è affatto piccola. I produttori di minori dimensioni, infatti, controllano ancora il 40% della produzione di olio di palma nel paese. Metterli in difficoltà con un patto vincolante cui faticano a sottostare è una mossa verso la speculazione, non certo a vantaggio dell’ambiente.
La nuova moratoria infatti vieta la deforestazione solo sulle torbiere e le foreste primarie, mentre quella precedente tutelava anche le selve secondarie e le aree boschive ad alto contenuto di carbonio benché non propriamente torbiere.