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Indigeni piegati con birra e denaro: via libera alla diga di Belo Monte

Il più grande progetto ingegneristico del Brasile, la diga di Belo Monte, entrerà in funzione ad agosto. Piegata dopo 30 anni l’opposizione indigena

Indigeni piegati via libera alla diga di Belomonte-

 

(Rinnovabili.it) – C’è un motoscafo nuovo di zecca, che riverbera i raggi del sole, ormeggiato vicino alla vecchia canoa, un fuoristrada all’ultimo grido parcheggiato davanti al pollaio, antenne paraboliche fuori da ogni casa e, dentro, un grosso televisore al plasma. La diga di Belo Monte, la più grande opera di ingegneria del Brasile, si farà. E questi sono gli spiccioli, i premi di consolazione, il segno che gli indigeni Juruna hanno perso la guerra. Per trent’anni la tribù ha contrastato il progetto dell’immane centrale idroelettrica – la quarta al mondo per dimensioni – che si sta costruendo ai confini del loro territorio, in uno dei nuclei di biodiversità più rigogliosi del pianeta.

L’opposizione Juruna non è stata affatto facile da piegare: le comunità hanno sfilato in corteo, fatto pressioni, preso in ostaggio persone e bruciato autobus per tentare di fermare il progetto. Ma hanno fallito. La prossima estate, ad agosto, il fiume Xingu verrà chiuso da una diga larga 5 chilometri. La prima turbina entrerà in funzione dopo un paio di mesi. L’opera impatterà su un’area di 500 chilometri quadrati. Una parte verrà prosciugata, un’altra inondata, l’ecosistema di entrambe sconvolto. Tutta la vegetazione tropicale nei dintorni dell’impianto è stata rasa al suolo. La deforestazione ha colpito anche qui, ma questa volta era legale. O meglio, legalizzata.

 

Indigeni piegati via libera alla diga di Belomonte2

 

 

«Quando chiuderanno il fiume, distruggeranno le nostre vite – dice Giliarde Juruna, il capo di un villaggio nel territorio indigeno Paquiçamba – Abbiamo sempre vissuto sul fiume. Questa regione ci ha ospitato, dai nostri antenati fino ad oggi. L’impatto sarà enorme».

E c’è da starne sicuri. Il cantiere è titanico: un immane muro di pietra, acciaio e cemento che ricorda i cancelli di Mordor e sovrasta una pianura devastata e brulicante di camion, ruspe e gru. Quando cala la notte, il solito coro amazzonico di insetti, rane e uccelli è soffocato da motori, allarmi e clangore di cingolati.

 

Indigeni piegati via libera alla diga di Belomonte

 

L’esercito di camion sta muovendo 79.2 milioni di metri cubi di terra: più di quella smossa per il canale di Panama. Verranno trasferite 20 mila persone, cacciate più dentro la foresta. Hanno ceduto alle lusinghe dei costruttori, che con le cattive non erano riusciti a sconfiggere l’opposizione indigena. Chiedete, hanno cominciato allora a dire, e vi sarà dato. Così è arrivata la birra, le televisioni, i dolci, le bevande gassate e la plastica. L’agricoltura è stata abbandonata per ordinare la spesa al supermercato. I vecchi sono stati emarginati dai giovani, che parlavano portoghese e potevano negoziare il prezzo della corruzione di un popolo con i costruttori. Un intero tessuto sociale è stato fatto a brandelli in due anni, tra il 2011 e il 2013, con l’atomica del denaro. La storia si ripete. Due secoli fa, i “visi pallidi” sottomettevano l’America degli indiani, stordendola col whisky per finirla coi cannoni. Ma gli indigeni dell’Amazzonia questa storia non la conoscevano. E forse, l’avessero conosciuta, non sarebbe poi cambiato molto.