Rapine finite male, crimini passionali, litigi su proprietà come moventi: così le autorità del piccolo stato del Centro America infangano le lotte degli attivisti contro la deforestazione e i mega-progetti
(Rinnovabili.it) – È una rodata macchina del depistaggio quella che si è messa in moto in Honduras. Le indagini sull’omicidio dell’attivista ambientale Lesbia Yaneth Urquía, compagna di lotta di Berta Caceres contro i mega-progetti che minacciano l’ambiente e calpestano i diritti dei popoli indigeni in Honduras, sarebbero arrivate a una svolta. Che lascia perplessi gli osservatori e non convince affatto l’organizzazione ambientalista di cui entrambe erano dirigenti, il Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indigenas de Honduras (COPINH).
“Tre uomini sospettati del crimine sono stati arrestati – ha riferito il portavoce del procuratore generale che segue l’omicidio Jorge Galindo – Tra questi un cognato della vittima”. Secondo la ricostruzione di Galindo, il cognato Manuel Lopez è accusato di aver assoldato altre due persone per compiere l’omicidio. Il movente per le autorità è una banale disputa familiare legata a una proprietà. Poche ore dopo aver rinvenuto il cadavere di Urquìa in una discarica di Marcala con profonde ferite alla testa, gli inquirenti avevano suggerito che la dinamica fosse legata a un tentativo di furto finito male: in quel caso gli assassini avrebbero puntato alla bicicletta professionale con cui Urquìa era solita muoversi.
Una ricostruzione, già di per sé contraddittoria, che non convince affatto il COPINH. “Come nel caso di Berta Caceres, le autorità dicono che l’omicidio di Urquìa sia dovuto prima a una rapina e poi a un crimine passionale”, ribatte la leader dell’organizzazione Lilian Martinez. Il panorama tratteggiato dagli attivisti è quello di una radicata cultura del depistaggio e di autorità statali del tutto conniventi con le grandi corporation che traggono profitto dalle risorse ambientali dell’Honduras.
È davvero così? Un ex-soldato ha rivelato di recente al Guardian l’esistenza di un piano del governo per mettere a tacere gli attivisti ambientali. Negli stessi, identici termini si esprime anche Amnesty International nel suo rapporto annuale sull’Honduras, dove si leggono queste accuse senza mezzi termini: “In un clima generale di crimine e violenza, i difensori dei diritti umani, gli indigeni, i contadini e i discendenti degli afro-americani coinvolti in dispute sulla terra, gli attivisti della comunità LGBTI, ufficiali della giustizia e giornalisti sono stati bersaglio di violenze e intimidazioni da parte dello Stato e di attori criminali a causa del loro lavoro. Un debole e criminale sistema della giustizia e la corruzione hanno contribuito a tale clima di estesa impunità per i loro abusi”.