Un team di scienziati sostiene che rilasciare acido solforico nella stratosfera aiuterebbe a gestire il global warming. Ma non nega i rischi della geoingegneria
(Rinnovabili.it) – Il riscaldamento globale è una realtà ormai inoppugnabile accettata da quasi tutto il mondo scientifico, così come la sua origine antropica. Ma sui temi della mitigazione vi è molto meno consenso, soprattutto quando si parla di geoingegneria, ossia di quell’insieme di tecniche di manipolazione del clima con l’intento di rallentare l’aumento delle temperature.
Una delle proposte più controverse per rallentare l’aumento delle temperature sulla Terra è di modificare l’atmosfera con tecniche SRM (Solar Radiation Managment). In particolare, alcuni scienziati ritengono che dovrebbe essere possibile compensare l’effetto di riscaldamento dei gas serra riflettendo un maggior quantitativo di radiazione solare nello spazio.
L’esperimento di un team della Harvard School of Engineering and Applied Sciences, guidato dal professor David Keith, docente di fisica applicata, mira a proporre l’induzione di perturbazioni stratosferiche utilizzando l’acido solforico.
Il team ne ha utilizzata una quantità che, secondo Keith, è più o meno equivalente a quella che un aereo commerciale rilascia in pochi minuti (le tanto irrise scie chimiche). Il professore giura che si possono ottenere importanti risultati, in quanto le tecniche di SRM ridurrebbero il riscaldamento solare e la concentrazione di vapore acqueo nella stratosfera, che ha effetti sulla concentrazione di ozono.
«Molte persone credono che la geoingegneria solare verrebbe usata per riportare improvvisamente il clima della Terra a temperature preindustriali – afferma Keith – ma è molto improbabile che la politica lo ritenesse sensato».
Ma il timore non è soltanto quello delle persone comuni, che Anderson considera poco informate dei fatti. Le controindicazioni della geoingegneria vengono messe in risalto anche da illustri suoi colleghi. Gli scettici temono che incoraggiare queste tecniche favorirebbe l’approccio del “business as usual” da parte dei governi, disincentivando le politiche di riconversione energetica. Non solo: è del 2007 un articolo dell’ex generale Nato e dell’esercito italiano, Fabio Mini, pubblicato sulla rivista di geopolitica Limes, che mette in guardia sull’utilizzo della geoingegneria a fini militari: il controllo meteorologico, infatti, farebbe «parte della ricerca militare ancora attiva e tenuta segreta». Tecniche di inseminazione delle nuvole allo scopo di provocare precipitazioni sono state messe in pratica durante la guerra in Vietnam, ad esempio, con l’intento di rallentare le truppe locali. E potrebbero rappresentare una minaccia per le città se domani si decidesse di applicarle in caso di conflitto.
Del resto, sebbene la gestione della radiazione solare attraverso i cosiddetti “aerosol stratosferici” possa ottenere risultati temporanei nella mitigazione dell’impatto dei cambiamenti climatici, è la stessa introduzione allo studio del professor David Keith ad affermare che «la nostra attuale conoscenza dei processi stratosferici suggerisce che questi metodi possono comportare rischi significativi». Oltre ai rischi connessi con le conoscenze attuali, esiste la possibilità di «incognite sconosciute, in grado di alterare in modo significativo la valutazione del rischio». Nonostante le premesse inquietanti, Anderson chiede che la ricerca sulla geoingegneria venga finanziata dai governi.