Ragion di Stato e ragion di mercato vanno a braccetto: vietato leggere gli studi di Monsanto e EFSA, dove il pesticida è dichiarato innocuo per la salute, perché bisogna "proteggere gli investimenti"
(Rinnovabili.it) – Quando si gioca a poker è lecito il bluff. Ma sarebbe davvero strano che alla fine uno dei giocatori si rifiutasse di mostrare le sue carte, reclamando di avere il diritto di intascarsi la vincita perché ha la mano migliore e bisogna credergli sulla fiducia. Invece, quando il tavolo da poker è la salute dei cittadini, in ballo c’è l’autorizzazione al glifosato e uno dei giocatori è Monsanto, che si rifiuta di rendere pubblici i suoi studi dove il pesticida non risulta affatto dannoso, questo è quello che succede e non si può replicare.
Lo scorso 30 giugno la Commissione europea ha rinnovato per altri 18 mesi l’autorizzazione all’uso del glifosato in tutto il continente, dopo mesi e mesi di temporeggiamenti, scaricabarile, pavidità degli Stati membri e la totale assenza di trasparenza. Doveva decidere la politica, ma in base alle evidenze scientifiche: invece la prima, sotto la pressione delle lobby, ha cercato di evitare di trovarsi col cerino in mano, mentre le seconde sono rimaste pressoché segrete.
Il motivo del contendere erano i risultati contraddittori di due studi sugli effetti del pesticida della Monsanto. Il primo firmato IARC, quindi l’Organizzazione Mondiale della Sanità, iscriveva la sostanza nella lista di quelle potenzialmente cancerogene. Il secondo curato dall’EFSA, cioè UE, sosteneva l’esatto contrario. Non solo: in quello dell’EFSA sarebbero stati esaminati i risultati del primo, ma “nuove evidenze” li avrebbero sconfessati. Quali evidenze, che metodi siano stati usati, quali i dettagli tecnici, non è dato sapere.
Corporate Europe Observatory ha inoltrato mesi fa una richiesta di accesso allo studio. Che a ridosso della decisione dell’UE è stata rispedita al mittente: non può essere reso pubblico perché è più importante “proteggere gli investimenti”. In che senso? Nel senso che l’EFSA ha usato come base diversi studi, effettuati da quelle stesse multinazionali che commercializzano il glifosato. I dati sono loro proprietà, e mettono il veto: vietato pubblicarli.
Il ragionamento è questo: siccome dobbiamo produrre uno studio quando chiediamo di riautorizzare un nostro prodotto, e questo studio è per noi un investimento, così come lo sono i profitti che avremmo da un esito positivo della richiesta, allora i contenuti di quegli studi sono cosa nostra, un segreto industriale al pari di altri. Così, nell’asservimento delle istituzioni europee ai giganti dell’agrochimica, si è consumato il balletto sul glifosato e la salute dei cittadini europei continua a essere minacciata.