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Anche il Giappone punta alle zero emissioni (prima o poi)

Il Governo nipponico ha annunciato l'intenzione di decarbonizzare industria e società senza specificare una data, ma rimandando l'obiettivo al "prima possibile nella seconda metà del secolo".

Giappone zero emissioniMentre punta forte sulle rinnovabili, il Giappone continua a investire in nuove centrali a carbone

 

(Rinnovabili.it) – Anche il Giappone vuole raggiungere l’obiettivo zero emissioni entro fine secolo: a pochi giorni dall’annuncio della premier britannica Theresa May che ha inaugurato la strada verso la carbon neutrality delle economie più avanzate, il Paese nipponico ha pubblicato un piano per la decarbonizzazione del proprio sistema industriale, ma permangono molti dubbi sull’effettivo impegno giapponese.

 

Il Piano del Governo nipponico, infatti, prevede il raggiungimento delle zero emissioni senza fissare una data specifica (il Regno Unito, invece, è stato il primo Paese dei G7 a fissare la deadline al 2050): l’impegno richiesto nel programma è “solo” quello di decarbonizzare il Paese il prima possibile nella seconda metà del secolo.

 

La strategia punta forte sulle risorse rinnovabili: già in un piano energetico approvato lo scorso anno, il Giappone progettava di rispondere al 44% della domanda energetica tramite fonti pulite entro il 2030 (al 2017, le rinnovabili rispondevano al il 19% della domanda di energia). Il nuovo piano, tuttavia, non specifica date né percentuali, mentre lascia aperta la porta al prolungato utilizzo del carbone e alla costruzione di nuovi impianti energetici alimentati da fonti fossili.

 

Il Ministro dell’Ambiente giapponese, Jun Sato, ha definito essenziale l’espansione di fonti di energia rinnovabile come fotovoltaico ed eolico, tuttavia, ha aggiunto ai microfoni di AFP: “Questo non significa necessariamente che non utilizzeremo più risorse termiche”.

 

Una posizione ambigua aspramente criticata dalla associazioni ambientaliste: “Il piano dimostra che il Governo giapponese non è davvero serio a proposito del contenimento del cambiamento climatico – ha attaccato Hanna Hakko, responsabile per l’energia di Greenpeace Japan – E’ particolarmente evidente quando leggiamo che non c’è una data precisa per l’abbandono del carbone. Non è possibile pensare di risolvere la crisi climatica continuando a bruciare carbone”.

 

Il punto di vista con cui il Giappone prova a guardare alla lotta alle emissioni è peculiare: il piano ribadisce l’impegno preso nel 2016 con il taglio dell’80% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 2010 entro il 2050, tuttavia prova anche a guardare al problema come a una possibilità di sviluppo tecnologico e commerciale. In particolare, il programma punta a implementare soluzioni di Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS) e di Cattura e Utilizzo del Carbonio (CCU), sulla scorta di quanto suggerito lo scorso aprile da un report di un Panel governativo, composto di esperti accademici e del mondo del business, istituito per coordinare la transizione energetica del Giappone.

Entrambe le tecnologie (sia il CCS che il CCU) sono in fase di sviluppo e l’impiego commerciale su larga scala è ancora difficilmente prevedibile, tuttavia il Panel governativo suggeriva la necessità di un pieno sviluppo entro il 2030 per poi cominciare l’esportazione della tecnologia anche al di fuori dei confini nipponici.

 

L’abbandono della generazione alimentata a carbone si è fatto ancora più complesso dopo lo tsunami che colpì l’arcipelago nel 2011 e causò la crisi della centrale nucleare di Fukushima: regolamentazioni più stringenti in termini di sicurezza e resistenza a eventi climatici estremi hanno messo in ginocchio il settore, ma anche rallentato la costruzione di nuovi impianti a energie fossili, anch’essi sottoposti alle nuove limitazioni.

 

D’altra parte anche gl’investitori hanno cominciato a ritirare il proprio supporto alle vecchie forme di produzione elettrica nel momento in cui le fonti rinnovabili sono divenute più convenienti: lo scorso aprile la Osaka Gas ha annunciato l’abbandono del progetto di costruzione di una centrale a carbone da 1,2 GW, mentre a gennaio la cordata tra Kyushu Electric Power, Tokyo Gas e Idemitsu Kosan ha rinunciato alla costruzione di una centrale termica da 2 GW. Nel complesso, il Giappone prevedeva nel 2012 di costruire 50 nuove centrali a carbone per un totale di 23,23 GW entro il 2030; di queste 13 progetti pari a 7,03GW sono stati cancellati entro il 2017 secondo il gruppo ambientalista Kiko Network.

 

Merito delle nuove regole in termini di sicurezza ed emissioni, ma anche di una maggiore attenzione alle tematiche ambientaliste che sta attraversando trasversalmente l’iperconsumistica società nipponica: ne è testimonianza l’organizzazione RE100, formata da aziende del calibro di SONY Corp e Fujifilm Holdings, i cui 19 membri puntano a raggiungere il 100% di consumo da energie rinnovabili nel breve periodo.

 

Il Piano giapponese, con tutti i suoi punti in chiaroscuro, dovrebbe essere inviato alle Nazioni Unite prima del summit dei G20 in programma a Osaka a fine mese. Intanto, la strada aperta dal Regno Unito con l’obiettivo delle zero emissioni entro il 2050 potrebbe stimolare altre economie avanzate a rafforzare il proprio impegno nel contrastare il cambiamento climatico e virare verso una struttura sociale e produttiva più rispettosa nel Pianeta.

 

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