L’Unione Europea ha commissionato a 14 istituti di ricerca continentali uno studio sul possibile ruolo della geoingegneria nella riduzione delle emissioni
(Rinnovabili.it) – La geoingegneria non è in grado di proporsi come soluzione al cambiamento climatico, ma servono ulteriori ricerche nel campo. I consueti aspetti ambigui caratterizzano il rapporto presentato ieri da 14 istituzioni accademiche, incaricate dall’Unione Europea di valutare l’impatto di alcune tecniche di manipolazione del clima all’interno del progetto EuTRACE (The European Trnasdisciplinary Assessment of Climate Engineering).
La ricerca, alla quale hanno partecipato anche istituti di ricerca favorevoli all’ingegneria climatica (vedi Tyndall Centre, fra gli altri), ha riguardato alcune tecnologie che da anni ormai sono state proposte come panacea per il riscaldamento globale:
– la bioenergia combinata con la cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), che utilizza la biomassa per produrre energia e poi sequestra la CO2 prodotta durante processo nel sottosuolo o sotto il fondale marino;
– la fertilizzazione degli oceani con minuscole particelle di ferro, capaci in teoria di generare immense colonie di fitoplancton con lo scopo di assorbire carbonio;
– gli aerosol stratosferici, che si realizzano iniettando nanoparticelle metalliche (alluminio e bario) in atmosfera al fine di aumentare la sua capacità di riflettere la radiazione solare e ridurre la temperatura sulla superficie del globo (Solar Radiation Management – SRM).
Le conclusioni della ricerca sono sostanzialmente analoghe a quelle che già ispiravano il report di qualche mese fa commissionato dagli USA (compresa la CIA) alla National Academy of Sciences: la geoingegneria non va del tutto accantonata, ma la strada principale per affrontare il cambiamento climatico è la riduzione delle emissioni attraverso un accordo politico. Troppi ostacoli scientifici e tecnici restano ancora sul cammino della geoingegneria, ma soprattutto troppe preoccupazioni rispetto alla totale assenza di certezze riguardo agli impatti ambientali e sociali, potenzialmente catastrofici. Se è vero infatti che cospargere immense porzioni della superficie oceanica con microparticelle di ferro porta alla crescita del fitoplancton che assorbe la CO2, è anche vero che ci sono ragionevoli timori riguardo a catastrofici mutamenti nella biodiversità a seguito di una simile operazione.
Anche la gestione della radiazione solare tramite gli aerosol nella stratosfera lascia grossi interrogativi aperti: per limitati periodi di tempo è possibile schermare il calore, ma quali sono gli impatti a terra? E soprattutto, che contributo dà alla riduzione delle emissioni? Nessuno. Azi, potenzialmente l’effetto sarebbe contrario. Mettere un ombrello al pianeta di tanto in tanto consentirebbe all’industria inquinante di continuare ad ammassare CO2 in atmosfera, con un aumento dei rischi per la società umana e l’ecosistema globale.