Con quali posizioni e aspettative il Governo Italiano partecipa alla Conferenza di Parigi? Siamo davvero vicini ad un accordo vincolante? Quale spazio avranno i paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici?
Mentre i lavori di mediazione, tra le tante posizioni, diventano sempre più pressanti, alla COP 21 si avverte un’atmosfera febbrile che lascia intendere una diffusa volontà a raggiungere un risultato incisivo.
Ma la strada della mediazione è molto lunga e durerà ancora parecchi giorni lasciando aperte tutte le opzioni. Per capire direttamente quali sono gli elementi in campo, abbiamo incontrato, appena rientrato da Parigi e prossimo a ripartire, il Ministro dell’ambiente Gianluca Galletti.
Mauro Spagnolo: Ministro Galletti è appena iniziata a Parigi la COP 21. Alcuni osservatori la definiscono la Conferenza storica sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici. Lei come la vede?
Gianluca Galletti: La COP 21 è iniziata sotto i migliori auspici, nel corso della giornata di apertura ha visto la partecipazione di più di 150 capi di stato, quei capi di stato che rappresentano i principali emettitori di CO2 come la Cina e gli Stati Uniti, che hanno espresso la volontà e la determinazione di arrivare ad un accordo virtuoso. Questo è a mio giudizio un buon inizio. I giorni che ci aspettano saranno decisivi per mettere alla prova se alla parola dei leader mondiali seguiranno i fatti.
MS: Parliamo dei contenuti dell’accordo finale. Lei tra pochi giorni ripartirà per Parigi per coordinare la delegazione italiana. Quali sono le proposte italiane e quali le aspettative del Governo?
GG: Noi arriviamo a Parigi forti di una proposta europea che il nostro Paese ha sostenuto fortemente. Nell’ottobre del 2014, infatti, sotto la presidenza italiana, abbiamo definito un accordo giuridico vincolante tra gli Stati membri. Una proposta particolarmente virtuosa e impegnativa perché ci obbliga a ridurre la CO2, rispetto al 1990, almeno del 40% entro il 2030 e a raggiungere i target ambiziosi del 27% sia per la produzione da fonte rinnovabile che per l’efficienza energetica. Questi risultati saranno perseguiti attraverso il meccanismo del burden sharing cioè l’assegnazione ad ogni paese di un target nazionale che dovrà essere costantemente monitorato e soggetto, in caso di mancato raggiungimento, alle sanzioni comunitarie. Ma noi portiamo a Parigi anche una bella storia: siamo tra i Paesi firmatari del primo gruppo del Protocollo di Kyoto cioè siamo tra quei pochissimi Paesi – pensate che allora rappresentavano appena il 12% degli emettitori di CO2 – che si sono posti in maniera molto seria gli obiettivi di riduzione rispettando il primo impegno, che scadeva nel 2015, e ponendoci nella giusta direzione per rispettare anche il secondo, con scadenza al 2020. Ciò vuol dire che molta parte del lavoro l’abbiamo già svolto tant’è vero che abbiamo ridotto le nostre emissioni, negli ultimi anni, di più del 20%.
MS: A proposito di obiettivi virtuosi, l’IPCC stima la necessità di ridurre le emissioni dal 40% al 70% entro il 2050 ed il raggiungimento della carbon neutrality entro il 2100. Sono obiettivi raggiungibili?
GG: Riteniamo che gli obiettivi posti dall’IPCC debbano essere un imperativo dal quale non possiamo prescindere. L’Italia ha in questa direzione già avviato, come accennato, un importante percorso producendo più del 40% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, e questo credo che sia un primato mondiale. Chiediamo anche agli altri Paesi di fare la loro parte impegnandosi con piani concreti da presentare già a Parigi per drastiche riduzioni di emissioni di CO2 finalizzate all’obiettivo indicato dall’IPCC della neutralità di carbonio al 2100. Molti paesi già hanno dichiarato le proprie azioni, lo hanno fatto più di 160 paesi che raccolgono il 96% delle emissioni mondiali di CO2, e questo mi sembra un dato molto importante. Però questi piani nazionali non ci consentono di raggiungere l’obiettivo, già concordato a Copenaghen, di contenere il riscaldamento globale entro i 2° C. Anche ammettendo la loro completa attuazione raggiungeremmo un incremento da 2,7° C a 3° C. Quindi noi proporremo che l’impegno dei Paesi partecipanti alla COP21 sia più virtuoso di quello dichiarato nei piani presentati.
MS: Come sarà possibile controllare l’effettiva applicazione di questi piani?
GG: Questo è un aspetto basilare. Noi chiederemo che si arrivi a definire un percorso di governance sul dopo Parigi per controllare che gli impegni presi siano davvero attuati e che tali impegni vengano monitorati periodicamente ogni 3 o 5 anni. Questa pratica renderà trasparenti i risultati ottenuti, indicando costantemente la situazione rispetto ai target e l’eventuale necessità a rivedere i programmi. In questo senso un importante ruolo lo giocheranno le nuove tecnologie che nel corso dei prossimi decenni ci permetteranno di essere più ambiziosi di quanto lo siamo oggi.
Ritengo che la questione della governance sia importante almeno quanto quella degli obiettivi.
MS: A questo proposito mi risulta che 2200 scienziati di 80 nazioni hanno firmato un rapporto in cui si denuncia che l’obiettivo del contenimento del riscaldamento globale di 2°C non sia più sufficiente nello stato attuale del pianeta e propongono di introdurre nella piattaforma della COP21 obiettivi più ambiziosi, cioè il contenimento a 1,5 ° C. Ritiene questo obiettivo troppo ambizioso?
GG: Come Europa, e quindi come Paese membro, abbiamo posto l’obiettivo del contenimento massimo a 2°C. Tale obiettivo è il frutto di una mediazione tra 193 paesi. Ritengo onestamente che sia già un grande risultato riuscire ad ottenerlo, se pensiamo alle grandi differenze economiche, sociali e geografiche dei Paesi partecipanti alla Conferenza. Noi comunque chiederemo – e vedremo se si riuscirà ad ottenerlo – che all’interno dell’accordo di Parigi, oltre ad essere definito il contenimento dei 2°C, sia anche inserito un riferimento all’obiettivo di un 1,5°C in quanto questo obiettivo lo richiedono i Paesi più in difficoltà con i cambiamenti climatici. Anche la scienza ammette che l’obiettivo dei 2°C non salvaguarda tutto il pianeta, ma solo una parte. Pensiamo ad esempio alle piccole isole del Pacifico che vivono una situazione drammatica già adesso.
MS: In una recente intervista il segretario di stato John Kerry ha affermato che “Parigi non produrrà un trattato vincolante” e questa affermazione ha creato il gelo tra i delegati per il peso che gli USA hanno sugli equilibri delle trattative sul clima. Pensa che davvero questo possa influire sul risultato della Conferenza?
GG: Io non posso che far riferimento alle parole di Obama che ho ascoltato in apertura dei lavori della COP21. Egli è stato chiarissimo affermando, debbo dire con onestà, che gli USA sono il primo Paese industrializzato al mondo ma che contemporaneamente rappresentano il secondo maggior emettitore di CO2. E questo, per lui, non è ammissibile. Tale presa di coscienza, fino ad alcuni anni fa, sarebbe stata impensabile da parte di un grande Paese come gli Stati Uniti. Anche ciò che ha dichiarato il presidente della Cina mi ha particolarmente colpito in quanto ha affermato che, se da una parte il processo di industrializzazione cinese è ancora in sviluppo, e va sostenuto, dall’altra è imperativo che tale sviluppo non possa essere selvaggio ma che debba rispondere a criteri di tutela ambientale.
MS: Quindi Ministro, in qualità di referente delle politiche ambientali del nostro Paese, lei è in sostanza ottimista sugli esiti della COP21?
GG: Non posso permettermi di essere ottimista o pessimista, ma solo realista. E quello che posso affermare è che dalle parole che ho ascoltato, fin dall’inizio della Conferenza, l’atmosfera della COP21 è di grande consapevolezza e determinazione, e ciò mi porta a pensare che Parigi potrà costituire un appuntamento storico. Dobbiamo però stabilire che la COP21 non finisca a Parigi ma che segni un percorso che dovrà continuare in futuro. Il Presidente del Consiglio Renzi ha sottolineato come l’Italia, da qui al 2020, stanzierà 4 miliardi di dollari, per i nostri bilanci una cifra molto consistente, per supportare le azioni di contrasto ai cambiamenti climatici.
E questo mi sembra un impegno che potrà davvero fare la differenza.