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G20 di Osaka: (nonostante Trump) regge il fronte pro Accordi di Parigi

Il documento finale del summit che ha riunito in Giappone 20 tra le maggiori potenze mondiali ribadisce l'importanza degl'impegni presi con la Cop21 così come l'allontanamento degli USA.

g20 di osaka trumpFirmata al G20 di Osaka anche un’intesa per eliminare l’inquinamento da plastica nei mari entro il 2050

 

(Rinnovabili.it) – Pochi riferimenti agli Accordi di Parigi, un impegno vago, anche se ambizioso, per la riduzione dell’inquinamento da plastica negli oceani e l’ennesimo attacco di Donald Trump agli accordi internazionali per affrontare la crisi climatica: il summit dei G20 di Osaka si è concluso come in molti avevano già previsto, con i temi relativi al cambiamento climatico inseriti in agenda, ma anche con poche decisioni rilevanti in merito.

 

Il documento finale, siglato da 19 nazioni (compresa l’Unione europea), ribadisce l‘irreversibilità degli Accordi di Parigi e l’impegno per il raggiungimento integrale degl’obiettivi fissati nel 2015.

Un passaggio che non aggiunge molto allo scenario precedente il summit giapponese: già nel 2017, in occasione del G20 di Amburgo, gli accordi della Cop21 erano stati definiti come “irreversibili”, nonostante il ritiro del maggiore responsabile di emissioni al mondo, gli Stati Uniti del neoeletto Donald Trump.

 

Il tycoon ha ribadito l’allontanamento degli USA dagli Accordi di Parigi, ritenuti all’epoca “sfavorevoli per i lavoratori e i contribuenti americani”. In una conferenza di fine summit, il Presidente americano ha spiegato: “Abbiamo le acque più pulite di sempre. Abbiamo l’aria più pulita di sempre. Non sono disposto a sacrificare l’enorme potenza che abbiamo costruito in un lungo periodo di tempo né tutto quello che io rianimato e migliorato”.

Il riferimento è all’aumento di generazione elettrica e all’estrazione record di carburanti fossili e gas naturale registrato negli ultimi anni, grazie all’indulgente politica energetica dell’amministrazione Trump.

 

Il documento adottato a conclusione del G20 dedica un intero paragrafo alla posizione degli Stati Uniti: una sorta di comunicato disgiunto in cui viene spiegato che, nonostante l’allontanamento dagli impegni presi con gli Accordi parigini, l’approccio a stelle e strisce usa “tutte le fonti e le tecnologie energetiche, comprese quelle per combustibili fossili puliti e avanzati, le energie rinnovabili e l’energia nucleare civile, riducendo allo stesso tempo le emissioni e promuovendo la crescita economica”.

 

Una posizione smentita dallo studio presentato a inizio 2019 dall’indipendente Rhodium Group che registrava l’aumento record (+3,4%) delle emissioni USA nel solo 2018, il maggior balzo negl’ultimi 8 anni (quindi considerando l’intera seconda amministrazione Obama e i primi due anni della guida Trump).

 

Stesso discorso per il fronte rinnovabili, duramente attaccato dal Presidente USA: “Non sono sicuro di essere d’accordo con quanto stanno facendo alcune nazioni. Stanno perdendo moltissima potenza. Sto parlando della potenza degli impianti energetici – ha spiegato Trumpo ai cronisti – Le centrali energetiche non possono funzionare sempre grazie alle pale eoliche. Quando il vento cala, gl’impianti non lavorano. Allo stesso modo non possono funzionare esclusivamente grazie al solare perché seemplicemente non è abbastanza potente. Ma molti di questi Paesi vogliono passare all’eolico e questo sta causando molti problemi”.

“L’eolico non funziona se non sovvenzionato in larga parte – ha concluso il tycoon – Gli Stati Uniti stanno pagando enormi quantità di sussidi per l’eolio. Questo non mi piace, non mi piace affatto”.

 

La linea revisionista degli Stati Uniti ha fatto vacillare anche altri Paesi come Brasile, Turchia e Arabia saudita che, fino all’ultimo, sarebbero rimasti indecisi se ratificare il documento finale redatto dai G20.

L’Arabia saudita, in particolare, ha messo recentemente in discussione la validità dei report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, il pool di scienziati messo insieme dall’ONU per monitorare la crisi climatica, anche se alla fine ha firmato il documento in cui si fa riferimento all’IPCC come alla migliore fonte scientifica attualmente disponibile in materia.

 

A pochi giorni dall’incontro di Osaka, il Presidente francese Emanuel Macron aveva affermato che non avrebbe firmato nessun documento che non facesse chiaro ed esplicito riferimento agli Accordi di Parigi. Al termine dell’incontro, il portavoce dell’Eliseo si è dichiarato soddisfatto di aver evitato altri passi indietro sul fronte della lotta al cambiamento climatico e per aver impedito alla Turchia (che dal prossimo novembre assumerò la presidenza dei G20) di seguire l’esempio USA e abbandonare gl’impegni presi con gli Accordi di Parigi.

 

Il documento finale introduce un nuovo obiettivo nella lotta all’inquinamento da plastica e microplastica negli oceani: la cosiddetta Osaka Blue Ocean Vision. Al punto 39 della dichiarazione sottoscritta dai G20 viene così fissato il target zero immissioni di scarti di plastica nei mari entro il 2050, senza però indicare metodi e strumenti con cui raggiungere l’ambizioso obiettivo.

 

E’ la giusta direzione, ma sono ancora troppo concentrati sul management dei rifiuti – ha commentato il portavoce del WWF Japan, Yukihiro Misawa – La cosa più importante è ridurre la produzione eccessiva di plastica a livello mondiale”.

 

L’Osaka Blue Ocean Vision, infatti, richiede maggiore attenzione all’intero ciclo di vita dei prodotti plastici e invita i Paesi firmatari allo sviluppo di tecnologie innovative per gestire i rifiuti. L’accordo, inoltre, non è vincolante e potrà essere messo in atto a seconda delle disponibilità e dell’impegno scelto di ciascuna nazione.

 

Il Giappone, ad esempio, ha annunciato che fornirà aiuti finanziari ai Paesi in via di sviluppo per sviluppare le capacità di far fronte ai rifiuti di plastica ed elaborare piani d’azione nazionali. Fornirà inoltre formazione alla gestione dei rifiuti per 10 mila funzionari nei Paesi di tutto il mondo entro il 2025.

 

L’appuntamento adesso è rinviato a settembre, quando i quasi 200 firmatari degli Accordi di Parigi si riuniranno nella Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite a New York per decidere se mantenere inalterati gli obiettivi fissati nel 2015 o se puntare a tagli delle emissioni più ambiziosi, così come richiesto dalla comunità scientifica e da buona parte dell’opinione pubblica.