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Fridays For Future, la voce di una nuova speranza

Fridays For Future

 

(Rinnovabili.it) – Milioni di giovani hanno invaso le strade del mondo per rivendicare il proprio diritto al futuro. Quello che stiamo letteralmente e materialmente rubando loro non affrontando la crisi climatica. Basta minimizzare. Il nostro è il tempo di agire per arginare la crisi climatica e di essere coraggiosi e coerenti. Tanto in patria quanto a livello internazionale. Perché ci è rimasto poco tempo e questa è una battaglia che non si vince da soli e in cui ognuno deve fare la sua parte. Lo hanno ribadito le Nazioni Unite e i 250 scienziati e esperti che hanno redatto il Global Environment Outolook (GEO 6) che sottolinea, tra l’altro, come «I danni causati al pianeta sono così importanti che, se non verranno prese delle misure urgenti, la salute delle popolazioni sarà sottoposta a delle minacce crescenti». Ben un quarto delle morti premature e delle malattie in tutto il mondo, si legge nel GEO-6, è legato all’inquinamento e ai danni all’ambiente causati dall’uomo. Parliamo di 9 milioni di persone nel 2015. Benvenuti nell’antropocene. Se non bastassero gli appelli e gli argomenti della scienza, il Presidente della Repubblica Mattarella ci ha autorevolmente ricordato nel suo discorso da Belluno che su clima e ambiente non si può più essere indifferenti.

 

Hanno dunque ragione i giovani che, seguendo l’esempio di Greta Thunberg, protestano con i Fridays For Future contro la politica che non ha visione, quella del ‘business as usual’ che non pensa ai prossimi 30 anni, ma solo al consenso facile nei prossimi mesi.

Sul clima la penso come loro: dovremmo andare letteralmente nel panico perché i mutamenti climatici sono qui ed ora e ormai abbiamo poco tempo per arginarli. Ed è ancora troppo grande la distanza tra gli impegni assunti dal mondo a Parigi e gli obiettivi effettivi di riduzione delle emissioni che i Paesi si stanno dando. Anche in Europa. Che si è data l’obiettivo della decarbonizzazione dell’economia al 2050, ma il target di riduzione per il 2030 è solo del 40%. Stando così le cose è difficile centrare poi il traguardo di metà secolo. La situazione non è diversa in Italia, dove il governo giallo bruno non ha portato quel cambiamento sull’ambiente che troviamo solo nella propaganda. Il governo del cosiddetto cambiamento, infatti, non ha alzato l’ambizione sul clima, ma ha presentato un Piano energia e clima in continuità con il passato, non sta spingendo sulle rinnovabili né sull’efficienza energetica e non ha iniziato neppure a spostare verso soluzioni innovative e sostenibili i 16 miliardi di sussidi alle fonti fossili.

 

La politica, specialmente quella italiana, ha un problema culturale. Fatica a capire che difendere l’ambiente e rispondere alla sfida del clima non solo è necessario, ma rappresenta anche un’opportunità per creare lavoro e una nuova economia più sostenibile, inclusiva e dunque più competitiva. Per rispondere contemporaneamente alle crisi economica e sociale. Lo dicono i numeri. L’economia circolare da sola, come stimato dall’ultimo Forum di Davos non da radicali ecologisti, ha un valore potenziale di 3 mila miliardi di dollari di cui 88 in Italia, mentre l’industria delle rinnovabili nel 2017 ha creato 500mila nuovi posti di lavoro, portando il totale degli occupati nel settore a livello mondiale a 10,3 milioni (dati IRENA 2018). E soprattutto, come evidenza il GEO-6, la comunità internazionale possiede conoscenze, tecnologie e mezzi finanziari necessari alla conversione ecologica. Inoltre anche azioni semplici e a costo zero, come ridurre il consumo di carne e lo spreco alimentare, possono dare un contributo importante. Una dieta meno carnivora e più attenta a non generare sprechi ridurrebbe del 50% la necessità di aumentare la produzione alimentare per nutrire i 9 – 10 miliardi di abitanti del pianeta previsti entro il 2050. E se ridurre le emissioni per centrare gli obiettivi di Parigi costerebbe 22 mila miliardi di dollari, i benefici che ne deriverebbero sarebbero di 54 mila miliardi. Più di due volte tanto.

 

La crisi climatica è una priorità che è doveroso mettere al centro dell’agenda politica ed è proprio quanto provo a fare con il mio impegno in Parlamento. Per accelerare la transizione verso lo sviluppo sostenibile servono politiche adeguate e coerenti, occorre orientare l’innovazione verso l’efficienza e il futuro, usare la leva fiscale e spingere sulla finanza verde, agire su settori strategici come l’energia, la mobilità e l’agricoltura e lavorare per rendere resilienti le nostre città. Occorre stare in Europa da protagonisti, spingere l’UE a ritrovare la sua leadership sul clima portando ben oltre la soglia del 55% gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030. Sarebbe una speranza per il mondo perché se iniziasse a farlo l’Europa, altri Stati potrebbero seguire la rotta. Le piazze piene di giovani che in 98 paesi di tutto il mondo hanno dato vita al Global Climate Strike for Future sono un motivo di speranza. Un risveglio delle coscienze che potrebbe muovere anche la montagna della politica.