La rivista Bloomberg rivela l’abitudine delle compagnie petrolifere a gonfiare le stime sulle risorse potenziali per vendere il fracking agli investitori
«Così facendo vanno incontro al rischio di contenziosi legali – nota John Lee, professore di ingegneria del petrolio all’Università di Huston, che ha contribuito a scrivere le regole della SEC – Se fossi un avvocato mi interesserebbe approfondire».
«Gli investitori esperti conoscono la differenza tra i due numeri presentati – minimizza Scott Sheffield, presidente e amministratore delegato di Irving – e gli azionisti capiscono. Siamo di proprietà pubblica per il 95%, e la gente si fida delle istituzioni, tant’è che molti mettono denaro nei fondi comuni di investimento».
In effetti, nei primi 7 mesi dell’anno gli investitori hanno versato 16 miliardi di dollari in questi fondi e negli ETF (particolare tipologia di fondo d’investimento negoziabile in borsa come una comune azione) focalizzati sulle compagnie energetiche, incluse quelle che praticano il fracking. Si tratta di cifre più che doppie rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Le compagnie si sentono dunque autorizzate a falsare le stime durante le loro presentazioni pubbliche, sottolineando che “tanto gli investitori lo sanno e si fidano”. Per fortuna la SEC richiede poi di dar conto di quanto petrolio e gas verranno prodotti dando la misura delle riserve reali, grazie a una metodologia piuttosto stringente che arriva a fare previsioni attendibili fino a 5 anni. I numeri delle riserve provate, però, sono meno conosciuti di quelli relativi alle risorse potenziali, diffusi al pubblico dalle imprese. In queste presentazioni, le compagnie includono pozzi che potrebbero rivelarsi in perdita, giacimenti che potrebbero non essere mai esplorati, progetti per cui le possibilità di successo non superano il 10%. I numeri possono perfino cambiare da una presentazione all’altra. Soprattutto, le valutazioni sulle riserve provate, arrivano sempre un po’ dopo: così può accadere che la Rice Energy stimi le risorse potenziali in una uscita pubblica, a gennaio, sui 2,7 miliardi di barili. Poi, alla resa dei conti di marzo con la SEC, la cifra scende a 100 milioni. Il problema è che il sistema della Security Exchange Commission non si occupa di tirare le orecchie alle compagnie quando alzano artificialmente le stime.
«Quando un gran numero di persone resterà scottato, e io penso che un gran numero di persone resterà scottato – commenta il professor John Lee – forse allora gli investitori faranno le dovute pressioni per far sì che la SEC decida di curarsi del problema».