Con la Gran Bretagna non più vincolata dai regolamenti europei sull'ambiente, le compagnie di fracking potranno inquinare senza controllo. Intanto i big dello shale inglese pensano di sversare i reflui in mare
(Rinnovabili.it) – Una compagnia di fracking inglese ha seriamente considerato di sversare in mare le acque inquinate della fratturazione idraulica. Non è una supposizione: è quanto si legge nero su bianco in una mail inviata dalla compagnia. Si tratta della Ineos, che possiede la raffineria di Grangemouth e 21 licenze di ricerca e sfruttamento di depositi di sabbie bituminose nel Regno Unito. Impegnata soprattutto nella parte nord-occidentale del paese tra North Yorkshire e East Midlands, Ineos ha l’ambizione di diventare l’attore di riferimento sulla scena dell’industria dello shale inglese.
La mail sotto accusa risale allo scorso marzo ed è indirizzata a un cittadino del distretto di Ryedale (dove la fratturazione era appena stata avviata) da parte di alto dirigente, Tom Pickering. Il preoccupato cittadino inglese chiedeva che fine avrebbe fatto l’acqua usata per le perforazioni. Risposta: la sverseremo in mare, ovviamente dopo averla “trattata”.
Ma l’acqua del fracking è profondamente inquinata
Le operazioni di fratturazione idraulica consistono nel pompare sottoterra acqua, sostanze chimiche e sabbie ad alta pressione, affinché la roccia si fratturi e liberi il gas. Ogni pozzo può impiegare fino a 23.000 mc di acqua; di questi una parte che varia dal 20 al 40% torna in superficie. Ovviamente è inquinata: contiene Sali, agenti chimici e materiali radioattivi, tanto che l’Agenzia per l’Ambiente (EA) la classifica, per l’appunto, come un rifiuto radioattivo.
Altrettanto ovviamente, questo rifiuto va trattato in modo adeguato – se ne esiste uno. Ineos assicurava nella mail che avrebbe seguito pedissequamente la procedura prevista. Tutto a posto, quindi? Non proprio, visto che i dubbi sulla reale efficacia delle tecniche di trattamento delle acque del fracking attuali abbondano da più parti. Da qui l’entità del problema: Ineos di licenze ne ha 21, è in piena espansione e adotta come politica lo sversamento in mare, come se non bastasse il rischio che i reflui inquinino le falde acquifere.
Reflui nocivi senza controllo in caso di Brexit
Tra le sostanze che possono restare disciolte in acqua anche dopo il trattamento figurano, ad esempio, acetone, cloruro di metilene (un potenziale cancerogeno). La tossicità dei reflui prodotti dal processo di fratturazione idraulica è più volte stata denunciata da studi scientifici e documentari.
Un recente report del Natural Environmental Research Council denuncia la scarsa adeguatezza dei regolamenti vigenti in Uk per quanto riguarda specificamente il trattamento dei reflui e le modalità di smaltimento. Lo scorso marzo la Chartered Institution of Water and Environmental Management scriveva all’EA: “Le tecnologie più avanzate potrebbero non essere in grado di trattare i livelli di solidi dissolti nei reflui”, sottolineando che diluirli può servire per la salinità, ma non protegge in modo sufficiente dalla radioattività.
Risale invece a un mese fa un report del think tank The UK in a Changing Europe che analizza i pro e i contro dell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’UE con il referendum del prossimo 23 giugno. Tra i punti fondamentali del rapporto si legge che l’UK in caso Brexit non sarà vincolata dai regolamenti dell’Unione in materia di ambiente. In pratica, il rischio è che i reflui nocivi diventino del tutto senza controllo una volta perso la protezione dell’acquis comunitario. E le aziende interessate, a partire dalla Ineos, tenteranno in ogni modo di approfittarne per il loro tornaconto.