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Estrazione delle risorse, responsabile di metà delle emissioni mondiali

Ogni anno, il mondo consuma oltre 92 mld tonnellate di materiali, tra biomassa, metalli, combustibili fossili e i minerali, una cifra che cresce al ritmo del 3,2% all’anno

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Secondo il Global Resources Outlook delle Nazioni Unite oggi l’estrazione delle risorse è 3 volte più veloce rispetto al 1970

 

(Rinnovabili.it) – L’estrazione delle risorse è responsabile della metà delle emissioni mondiali di carbonio e di oltre l’80% della perdita di biodiversità. La crescita delle economie mondiali sta aumentando il livello di stress sul clima e sugli ecosistemi più di quanto valutato in precedenza. A rivelarlo è il Global Resources Outlook delle Nazioni Unite, presentato a Nairobi durante l’Assemblea Ambientale dell’ONU, nel quale si riporta che le risorse oggi vengono estratte dal pianeta tre volte più velocemente rispetto al 1970, anche se la popolazione è solo raddoppiata da quel periodo. Ogni anno, il mondo consuma oltre 92 miliardi di tonnellate di materiali, tra biomassa (principalmente cibo), metalli, combustibili fossili e i minerali, una cifra che cresce al ritmo del 3,2% all’anno. Dal 1970, l’estrazione di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) è aumentata da 6 a 15 miliardi di tonnellate, quella dei metalli del 2,7% l’anno, quella di altri minerali (in particolare sabbia e ghiaia per calcestruzzo) sono aumentati di quasi cinque volte da 9 a 44 miliardi di tonnellate e i raccolti di biomassa da 9 a 24 miliardi di tonnellate. Fino al 2000, l’estrazione delle risorse è stato un enorme incentivo per l’economia globale, ma da allora c’è stato un tasso di rendimento in diminuzione poiché l’attività è diventata più costosa e i costi ambientali più difficili da ignorare.

 

Il report suddivide i benefici economici e i costi ambientali per settore. Il cambiamento dell’uso del suolo, principalmente per l’agricoltura, rappresenta oltre l’80% della perdita di biodiversità e l’85% dello stress idrico, mentre foreste e paludi vengono eliminate per i terreni agricoli che necessitano di irrigazione. L’estrazione e l’elaborazione primaria di metalli e altri minerali è responsabile del 20% degli impatti sulla salute derivanti dall’inquinamento atmosferico e del 26% delle emissioni globali di carbonio. Ma la più grande sorpresa per gli autori è stata l’enorme impatto sul clima dell’attività estrattiva in tutti i settori, che combinati insieme rappresentano il 53% delle emissioni mondiali di carbonio. Ci sono poi le disparità tra Paesi ricchi, in cui si consumano in media 9,8 tonnellate di risorse all’anno, e quelli poveri, il cui consumo è 13 volte inferiore a quelli ricchi. Stati Uniti e Brasile stanno tagliando le normative ambientali esistenti. La Cina ha fatto progressi in materia di energie rinnovabili e inquinamento, ma la sua crescita è ancora più intensa rispetto alle nazioni sviluppate. L’Asia, invece, secondo il rapporto, sta guidando la più veloce domanda di minerali tra i paesi a reddito medio-alto, che ora hanno un peso materiale combinato maggiore rispetto alle nazioni ricche.

 

Per gli autori del report la soluzione è dissociare la crescita economica dal consumo di materiale. Senza cambiamenti, sostengono, la domanda di risorse potrebbe più che raddoppiare a 190 miliardi di tonnellate l’anno, i gas serra aumentare del 40% e la domanda di terreni del 20%. Uno scenario “terribile” che potrebbe essere evitato se ci sarà una transizione più veloce verso le rinnovabili, una pianificazione urbanistica più intelligente per ridurre la domanda di cemento, cambiamenti dietetici per ridurre pascoli e rifiuti, e una maggiore attenzione alla creazione di un’economia circolare che favorisca il riuso dei materiali. “Non sarà un lavoro facile da fare – sostengono gli autori del report – ma l’alternativa sarebbe molto peggio”.

 

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