Il Ministero dell’Ambiente ha avviato il Tavolo tecnico, ma il fenomeno dell'erosione costiera potrebbe essere difficile da arginare
(Rinnovabili.it) – Rischiamo la perdita di aree di grande interesse naturalistico, mentre diverse Regioni ancora non sanno quanta parte del proprio territorio sia soggetta ad erosione costiera. Tra impatti antropici e innalzamento del livello del mare, le zone che fondano gran parte dell’economia sul turismo difficilmente riusciranno a proteggersi efficacemente. Dopo la diffusione dei primi risultati del Tavolo Nazionale sull’Erosione Costiera costituito dal Ministero dell’Ambiente, il professor Enzo Pranzini, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, analizza il contesto attuale e i possibili scenari.
Professore, quali sono le zone più a rischio per l’erosione costiera nel nostro Paese?
Le spiagge più esposte a questo processo sono quelle poste ai margini delle pianure alluvionali, dove all’innalzamento del livello del mare si aggiunge la subsidenza. Inoltre, l’erosione è più forte in prossimità delle foci fluviali, dove si risente prima e maggiormente della riduzione di apporto sedimentario da parte dei fiumi. I dati presentati dal Tavolo tecnico sull’erosione costiera indicano che in Basilicata il 58% delle spiagge è in erosione, mentre la Puglia si ferma al 55% e le Marche al 48%. E ciò nonostante il fatto che molti tratti di litorale di queste regioni siano pesantemente difesi da scogliere.
Quali sono gli impatti sull’ambiente di questo fenomeno?
L’arretramento della spiaggia, in condizioni naturali, può far perdere parti di territorio di grande interesse naturalistico, come le dune costiere, ma è quando la linea di riva non può arretrare, per la presenza di scogliere messe a difesa di edifici, strade o ferrovie, che il sistema si degrada maggiormente. In questi casi l’arenile non può riformarsi e la costa sabbiosa si trasforma un una costa rocciosa.
Nel complesso, vi sono dei miglioramenti o dei peggioramenti nella gestione delle coste italiane?
Oggi vi è una maggiore conoscenza dei processi che causano l’erosione e sui metodi per difendere i litorali. Vi è stato un graduale passaggio dall’uso indiscriminato delle scogliere di vario tipo ad interventi basati maggiormente sul ripascimento artificiale.
Il passaggio delle competenze in materia di difesa dei litorali dal Ministero dei Lavori Pubblici alle Regioni, avvenuto nel 1989, ha favorito lo sviluppo di nuove tecniche d’intervento e una visione più organica del territorio costiero. Purtroppo, non tutte le Regioni erano pronte ad assumere queste competenze, ad ancora oggi vi sono forti differenze fra quelle che sono andate avanti con piani di gestione integrata e con interventi anche innovativi, ed altre che non sanno ancora quanta parte delle loro spiagge sia in erosione.
Conosce dei casi di eccellenza, dove l’impatto è stato ridotto con successo?
In Australia, sulle Golden Coast, vi è un bellissimo impianto di refluimento che preleva la sabbia da una zona in accumulo e la trasferisce nei diversi tratti in erosione. In Olanda, recentemente è stato fatto un ripascimento artificiale con 21,5 milioni di metri cubi di sabbia prelevati sui fondali e deposti in un unico punto, che funzionerà come fonte di alimentazione di un lungo tratto di litorale per molti anni. In Italia, già negli anni ’80, abbiamo avuto interventi di difesa basati su esili strutture sommerse perpendicolari a costa che, dopo un iniziale ripascimento in ghiaietto, hanno richiamato la sabbia dal largo e consentito la stabilità del litorale senza nessun impatto paesaggistico, come venne fatto a Terracina, nel Lazio. Oggi comunque si opta per i ripascimenti artificiali, con le Regioni Veneto, Emilia Romana e Lazio a tracciarne la strada.
Quale futuro immagina per le coste del nostro Paese?
L’innalzamento del livello del mare e la necessità, forse estremizzata, di ridurre le piene fluviali e stabilizzare tutti i versanti in frana, creeranno sempre più problemi alle nostre coste. Dovremo decidere di fare arretramenti strategici, investendo più nella delocalizzazione che nella difesa.
Le zone densamente urbanizzate e quelle in cui il turismo balneare sostiene in modo quasi esclusivo l’economia di un vasto territorio dovranno avere la massima attenzione, ma sono convinto che le tecniche di difesa attuali non saranno in grado di proteggere queste zone in modo efficace e sostenibile.