Lo scorso anno, governi conniventi con i vertici delle grandi aziende hanno pagato sicari e paramilitari senza scrupoli per assassinare più attivisti ambientali che mai
Il Brasile resta il paese con più omicidi di attivisti ambientali
(Rinnovabili.it) – Mai nella storia è stato più pericoloso difendere i diritti dell’ambiente dalla voracità delle multinazionali. In questa impresa sono morti 200 attivisti ambientali nel 2016, allungando una scia di sangue che si diparte dal profondo delle foreste per salire fino ai palazzi del potere. L’ultimo rapporto di Global Witness ricostruisce una lunga e penosa serie di omicidi sospetti, che gettano ombre su governi conniventi con i vertici delle grandi aziende e solerti nello sguinzagliare paramilitari violenti e senza scrupoli sulle tracce di uomini e donne che combattono sui territori, per preservare comunità ed ecosistemi da progetti distruttivi.
Ma il dossier è anche un racconto delle storie che questi difensori della terra si portano cucite addosso, del coraggio e della perseveranza dimostrate di fronte a minacce di morte, arresti, abusi sessuali e querele intimidatorie. Dev’esserci una strategia per proteggerli più di quanto non si riesca a fare oggi. Global Witness prova a tracciarla, con l’intento di non lasciare soli gli attivisti che mettono a rischio la loro esistenza per salvaguardare un bene comune.
Una rete di protezione va costruita e rafforzata con tutta la rapidità possibile. Gli omicidi infatti non solo sono aumentati, ma si stanno diffondendo geograficamente. Nel 2016 l’ONG ha documentato 200 morti in 24 paesi, un picco rispetto ai 185 in 16 nazioni del 2015. Quasi il 40% delle persone assassinate erano appartenevano a popolazioni indigene. La mancanza di azioni giudiziarie rende difficile l’individuazione dei responsabili, ma secondo Global Witness esisterebbero solide prove che collocano polizia e forze armate dietro almeno 43 uccisioni. Altre 52 sarebbero da imputare a guardie di sicurezza private.
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Ancora una volta, la leadership di questa lugubre classifica è del Brasile, che ha seppellito nell’enormità muta dell’Amazzonia 49 esseri umani in un anno. Seguono Colombia (37) e Filippine (28), dove il settore minerario è vorace e agisce impunemente. Il paese con più attivisti assassinati in relazione alla popolazione – e pertanto considerato il più pericoloso – è tuttavia l’Honduras di Berta Càceres, che ha ucciso 14 persone. Un record insidiato dal Nicaragua, dove un canale parallelo a quello Panama è destinato a tagliare in due lo stato, innescando migrazioni di massa, disordini sociali e repressioni violente degli oppositori.
Un intreccio di interessi sporchi crea la trama che soffoca le vite di chi difende i diritti umani e l’ambiente: progetti petroliferi e minerari sono la pietra dello scandalo che ha causato 33 omicidi, 23 attivisti sono morti opponendosi alla deforestazione e altrettanti contrastando il potere dell’agribusiness. Lo scontro con il bracconaggio, soprattutto in Africa, ha causato 18 vittime tra i difensori della terra, mentre gli interessi celati dietro a grandi progetti idroelettrici hanno ucciso 7 persone.