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Discarica abusiva di rifiuti in Turchia: Greenpeace denuncia imprenditore italiano

Un'indagine di Greenpeace ha portato alla scoperta di una discarica illegale in una proprietà agricola nei pressi di Smirne dove un imprenditore nostrano avrebbe abbandonato oltre 50 balle di scarti di plastica provenienti dalla raccolta differenziata in Italia

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Le balle di rifiuti in plastica nella discarica abusiva scoperta a Kemalpaşa – Foto Greenpeace Italia

Le immagini scattate nella discarica abusiva confermerebbero la provenienza dei rifiuti dall’Italia

 

(Rinnovabili.it) – Greenpeace ha presentato un esposto penale alle autorità turche per denunciare un imprenditore italiano responsabile di aver scaricato illegalmente almeno 50 balle di rifiuti plastici in un terreno agricolo di Kemalpaşa, nella provincia di Smirne, nel sud della Turchia.

 

L’indagine portata avanti da Greenpeace Italia in collaborazione con Greenpeace Turchia ha documentato fotograficamente gl’imballaggi di plastica accatastati nel sito affittato da un non precisato imprenditore italiano. Come mostrano le immagini scattate in loco, quasi tutti i rifiuti sarebbero composti da film plastici flessibili di diversa origine e composizione. La presenza di numerosi scarti recanti marchi italiani lascia immaginare che le balle di rifiuti provengano direttamente dal Bel Paese, verosimilmente dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani.

 

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Una confezione di un noto marchio italiano rinvenuta nella discarica abusiva. Foto Greenpeace Italia

 

Secondo quanto riportato da Greenpeace, il proprietario dell’area in questione avrebbe affittato una porzione del terreno a un imprenditore italiano che vi avrebbe stoccato illegalmente i rifiuti per poi far perdere le proprie tracce.

 

“Troviamo inaccettabile che la Turchia diventi la discarica di rifiuti italiani poco idonei al riciclo. Le nostre immagini mostrano come gli sforzi quotidiani di migliaia di cittadini nel separare e differenziare i rifiuti in plastica vengano vanificati da pratiche illegali come quella documentata – ha spiegato Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – Questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che riciclare la plastica non è sufficiente. Per evitare che situazioni come questa possano verificarsi in futuro, è necessario ridurre subito e drasticamente la produzione di plastica a partire dall’usa e getta”.

 

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Veduta aerea della discarica abusiva. Foto Greenpeace Italia

 

La probabile provenienza dalla filiera del riciclo urbano dei rifiuti rinvenuti ha portato Greenpeace a chiedere chiarimenti al Consorzio nazionale per la raccolta degl’imballaggi in plastica (Corepla) che gestisce l’attività di recupero in oltre il 90% dei Comuni italiani:Chiediamo a Corepla, e gli altri operatori che si occupano della raccolta e recupero degli imballaggi in plastica, quali garanzie sul controllo della filiera possono darci per escludere che ciò che abbiamo documentato in Turchia non provenga dalla raccolta differenziata da loro operata”, ha concluso Ungherese.

 

Dopo aver visionato i materiali video e fotografici inviati da Greenpeace, Corepla ha sottolineato l’eterogeneità dei rifiuti presenti nella discarica abusiva in Turchia: “Gran parte dei rifiuti rinvenuti potrebbero essere compatibili sia con gli scarti prodotti dagli impianti di trattamento meccanico dei rifiuti operanti nella filiera sia con scarti di altri impianti di trattamento meccanico (es. TNB, STIR, impianti di tritovagliatura, impianti di riciclo etc.). In particolare sembrerebbe trattarsi di scarti fini di vagliatura – scrivono i portavoce del Consorzio – Inoltre, una parte dei rifiuti mostrati, sembrano di natura diversa (es. sfridi e altri rifiuti industriali). Confrontando l’immagine dell’intero stoccaggio e quelle di dettaglio, solo un paio di balle sembrano costituite da imballaggi flessibili che potrebbero avere origine sia domestica che industriale/commerciale.

 

“Il 70% della raccolta differenziata effettuata dai Comuni transita, prima del conferimento ai Centri di selezione (CSS), per 300 Centri Comprensoriali (o CC) che per conto dei Comuni o loro delegati effettuano operazioni di prepulizia, la separazione dei diversi materiali nel caso di raccolta multimateriale, e infine la pressatura in balle per ottimizzare la logistica. Con i CC Corepla non intrattiene rapporti contrattuali e quindi non può esercitare attività di controllo. Anche le attività dei CSS genera una quota di scarti che non è di competenza Corepla e viene gestita a cura e a spese dei CSS stessi – precisano da Corepla – Occorre sottolineare infine che mentre Corepla gestisce pressoché la totalità dei rifiuti urbani e assimilati, i rifiuti di imballaggio secondari o terziari generati dalle attività industriali e commerciali vengono gestiti direttamente da operatori del mercato del recupero”.

 

“Solo nel 2018 abbiamo effettuato oltre 1.600 controlli e audit su clienti e fornitori avvalendoci di primarie Aziende del settore – ha concluso Antonello Ciotti, presidente di Corepla – Possiamo assicurare quindi che Corepla esercita ogni sforzo volto a prevenire qualsiasi flusso improprio. Non possiamo garantire che nessuno riesca ad aggirare i controlli. Ci siamo resi disponibili con Greenpeace all’esame di eventuale ulteriore documentazione fotografica: laddove vi siano flussi illeciti riconducibili alle attività svolte per nostro conto siamo i primi a volerli verificare”.

 

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